Nella seconda metà del XII secolo a.C. un repentino sconvolgimento si abbatte, travolgendole, sulle fiorenti civiltà mediterranee dell’Età del Bronzo: grandi masse di uomini iniziano a migrare da un territorio all’altro, forse spinte da cambiamenti climatici, epidemie o catastrofi naturali (probabilmente – azzardano gli storici – dalla combinazione di questi e altri fattori). Le scorrerie dei c.d. “Popoli del mare” sono attestate dalle cronache pervenuteci, ma il fenomeno è ben più vasto, con possenti ondate migratorie che, provenienti dalle pianure asiatiche, si spostano verso occidente e determinano in taluni casi quelle che oggidì qualcuno si divertirebbe a descrivere come “sostituzioni etniche”. Le ipotesi sopravanzano di gran lunga le certezze: fatto sta, però, che nel giro di pochi anni si congeda dalla Storia insieme ai Mitanni e alla cultura di Ebla (recentemente riscoperta) il grande Impero Ittita, capace a suo tempo di rivaleggiare con l’Egitto per il predominio sul Vicino Oriente, bruciano le città costiere della Fenicia e lo stesso Paese dei faraoni, pur respingendo sotto Ramesse III l’invasione dei già citati Popoli del mare, perde lo status di grande potenza e si marginalizza fino a diventare, nei secoli successivi, terra di conquista per le armate straniere. Quanto agli Achei, tanto spavaldi e bellicosi da sfidare gli Ittiti a casa loro (Ilio è tributaria di Hattusas), essi non riusciranno pochi decenni dopo la presa di Troia a opporsi validamente ai Dori armati di ferro e la Grecia precipiterà nei lunghi secoli bui del Medioevo ellenico.
Anche l’Assiria, che si era progressivamente ritagliata un ruolo di spicco in Medio Oriente suscitando la preoccupazione ittita, subisce una battuta d’arresto, ma nel suo caso la crisi è temporanea: già Tiglath Pileser I, morto nel 1076 a.C., riprende la politica espansionistica degli avi e getta le basi di quell’Impero Assiro che conoscerà il suo apogeo fra il IX e il VII secolo a.C. I nomi di Tiglath Pileser III, Sargon II, Sennacherib e Assurbanipal sono oggi semidimenticati, ma ai contemporanei incutevano rispetto e spavento: non si era mai visto al mondo un esercito così forte e organizzato come quello forgiato dai sovrani del periodo neo-assiro. Alle schiere di agricoltori armati di arco, lancia e scudo subentrarono ben presto – almeno in parte – soldati professionisti superbamente equipaggiati: oltre che dallo scudo la protezione individuale era assicurata da corazze di cuoio e a scaglie di metallo e da elmi conici resistenti ai colpi, mentre gli strumenti di offesa erano in ferro e venivano padroneggiati con maestria. Fece la sua comparsa la cavalleria pesante, modello di quella partica che umiliò Crasso a Carre, ma il nerbo dell’armata era rappresentato dai carri da sfondamento che in battaglia, riuniti in formazioni compatte, avevano sui nemici un impatto devastante. Gli Assiri perfezionarono anche l’arte dell’assedio, fino ad allora piuttosto primitiva: le grandi macchine da lancio sarebbero comparse (in Grecia e in Cina) secoli dopo, ma per abbattere le mura i guerrieri di Ninive disponevano di massicce torri mobili munite di arieti o di “appendici” metalliche somiglianti a giganteschi martelli.
Insomma gli Assiri erano all’epoca pressoché imbattibili, anche perché avevano sviluppato un’arma segreta ancor più letale e decisiva dei carri corazzati e delle torri d’assedio: il terrorismo.
In un articolo precedente ho brevemente analizzato l’iscrizione di Qadesh, un bell’esempio di propaganda a uso interno. Ramses II si rivolge ai propri sudditi, i monarchi assiri ai popoli che hanno stabilito di sottomettere. Così si presentava il precursore Tiglath Pileser I: “l’eroe conquistatore, il terrore del cui nome ha sopraffatto tutte le nazioni; la luminosa costellazione che, secondo il suo potere, ha mosso guerra a tutti i Paesi stranieri sotto gli auspici di Bel (…) con una moltitudine di re ho combattuto, e su tutti loro ho imposto il vincolo di servitù; non c’è alcuno pari a me nella battaglia. (…) Al servizio di Ashur mio Signore radunai i miei carri e i miei guerrieri… attraversai la regione di Kasiyaia, una terra difficile (da percorrere). Ingaggiai battaglia con i loro 20.000 guerrieri ed i 5 re nel Paese di Comukha. Li sconfissi. I ranghi dei loro guerrieri furono travolti in battaglia come da una tempesta. I loro cadaveri coprirono le valli e le cime delle montagne. Tagliai le loro teste.” A proposito di un’altra campagna: “Attraversai il Tigri e presi la città di Sherisha loro roccaforte. I loro guerrieri colpii come fiere nel cuore della foresta. Le loro carcasse riempivano il Tigri, e le cime dei monti. (…) La città e il suo palazzo bruciai col fuoco, distrussi e rasi al suolo.” Ancora: “Tiglath Pileser, il re potente, l’amante della battaglia, che ha spazzato la faccia della terra.”
Le parole appena lette, fiere e cariche di spaventosa violenza, suscitano in noi un senso di raccapriccio più che di ammirazione: e non sono certo le più crude tra quelle lasciateci dai re assiri..Salmanazar III e Assurbanipal, vissuti secoli dopo, hanno reso le tecniche psyops maggiormente efficaci, il messaggio ancor più terrificante. Persino oggi, a distanza di migliaia di anni dalla caduta del loro impero, i guerrieri di Ninive sono immaginati come demoni in forma umana, che scuoiavano, uccidevano e stupravano per il solo piacere di farlo: appunto, “amanti delle battaglie”. Ma stavano realmente così le cose? Lo scopo dei sovrani mesopotamici era davvero quello di essere ricordati dalle generazioni future come mostri sanguinari, o c’era dell’altro, un valido motivo che giustificasse simili iscrizioni? Per azzardare una risposta è necessario esaminare successivi passi della fonte or ora citata (chi parla è sempre il terribile Tiglath Pileser): “Gli uomini dei loro eserciti si sottomisero al mio giogo (senza combattere). Ebbi compassione di loro. Imposi loro tributi e offerte (…) Io giunsi alla città di Milidia, appartenente al Paese di Khanni-rabbi, che era indipendente e non sottomesso a me. Essi si astennero dal venire a battaglia con me; si sottomisero al mio giogo, ed io ebbi compassione di loro. Non occupai la città, ma imposi loro in segno di fedeltà un tributo fisso…(…) Assediai la metropoli di Arin, essi si sottomisero al mio giogo ed io risparmiai la città…” Nei suoi annali, d’altra parte, re Assurbanipal si proclama “pastore, protezione del mondo intero”; inoltre, sotto il suo scettro “il mondo intero è diventato liscio come l’olio”.
(La seconda parte verrà pubblicata sabato 13 novembre)