Nei giorni del 22 e 23 giugno si è tenuta la Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina di Londra. Come abbiamo dato conto su queste pagine, ci sono state diverse iniziative internazionali di questo genere, di carattere bilaterale (vertice in Olanda, in Francia, in Germania, ed anche in Italia) fra cui spicca l’analogo meeting dell’estate scorsa.
I termini del problema restano quelli che abbiamo potuto delineare precedentemente. Accanto allo “sforzo bellico” di assistenza militare dai paesi della NATO si è avviato un processo di finanziamento dell’Ucraina che va in continuità con i prestiti forniti dal Fondo monetario internazionale, dagli Usa e dalla Ue dal 2014 fino ad oggi, incluso il periodo che vede il paese in guerra con la Federazione Russa. Il prezzo di questo è stato una serie di riforme di carattere neoliberale, nella miglior tradizione delle istituzioni finanziarie interne all’egemonia statunitense.
Con l’inizio della “operazione speciale” russa il processo si è ulteriormente accelerato; come è prassi consolidata la situazione emergenziale consente all’esecutivo di portare avanti con maggior vigore gli adeguamenti alla logica del mercato più marcatamente opposti agli interessi popolari e dei lavoratori.
La prospettiva – a dire il vero assai più incerta di quanto non facciano supporre le roboanti dichiarazioni di politici occidentali – di entrare a far parte della Ue si salda con quella della ricostruzione, il ridisegno liberista dell’assetto interno si tinge di fervore europeista, mentre deve per prima cosa garantire i profitti agli investitori. Si prefigura quella forma di “capitalismo dei disastri” in cui gli eventi distruttivi diventano la benzina di nuovi profitti, derivanti tanto dai redditi attesi per la ricostruzione, quanto dalla creazione di nuovi mercati privati aperti dallo stato di emergenza.
Il problema resta sempre quello: chi paga? I fondi del FMI e degli “Stati amici” non bastano: si è calcolato che solo il primo anno di guerra abbia causato danni per circa 411 miliardi di $…
In attesa di vedere cosa è emerso di concreto da Londra, pochissimi giorni prima è arrivata una notizia che forse può darci un indizio. Il 19 giugno il Financial Times ha riportato la notizia che BlackRock e JPMorgan stanno aiutando Kiev a costruire una banca per la ricostruzione per convogliare i fondi ottenuti ed attirare altri investimenti privati, col sostegno di consulenti di McKinsey.
Il coinvolgimento di simili pilastri del neoliberismo più distruttivo era già nota; in particolare JPMorgan aveva collaborato con Kiev come intermediario per la collocazione dei suoi titoli e per la ristrutturazione del suo debito. BlackRock era stato ingaggiato a novembre scorso come consulente.
Lo scopo di questo nuovo ente, che pare non debba essere costituito fino alla fine delle ostilità, sarebbe di usare i fondi di Stati e organizzazioni internazionali come base per raccogliere capitali privati, attendendosi una liquidità cinque volte maggiore di quelli pubblici.
L’operazione non pare agevole; cosa li convincerà? Un fattore che è possibile ipotizzare consiste nella promessa di sfruttamento delle risorse del paese. Su questo Kiev pare essersi buttata a pesce, vista la sua campagna pubblicitaria diretta agli imprenditori promettendo le migliori condizioni possibili.
L’altra possibilità è la costruzione di una architettura finanziaria capace di convogliare i soldi di piccoli investitori di livello familiare. In questo caso una risorsa simbolica importante sarebbe la vasta campagna volta a dipingere l’Ucraina come un paese vittima e che è un dovere aiutare, il che si tradurrebbe nelle garanzie pubbliche per coprire eventuali perdite subite dai privati. Meccanismo tipico delle partnership pubblico-privato, profittevole solo per quest’ultimo.
Ovviamente chi gestirà il processo avrà uno sguardo privilegiato sulle risorse più profittevoli e potrà adoperare tali conoscenze per macinare profitti. Da JPMorgan fanno sapere che sono già stati individuati i settori prioritari su cui investire. Sarà interessante capire i criteri per tale scelta. Di sicuro non sarà stata una decisione del popolo ucraino, stretto fra guerra e neoliberismo. Con gli avvoltoi della finanza che già sorvegliano attentamente la situazione.