È stato il Covid a mettere in crisi la sanità? Direi di no. È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. A quarant’anni dalla nascita del Servizio Sanitario Nazionale, il diritto alla salute che lo stato deve tutelare a prescindere dalla propria carta d’identità o dal conto corrente, è in serio pericolo. Le criticità insostenibili che medici, infermieri e lavoratori della sanità lamentano ogni giorno sono oramai innegabili. Tutto questo è successo grazie a continui tagli al personale, a dismissioni di strutture mediche e a continue e ripetute cancellazioni di posti letto.
Tuttavia i primi colpi alla rivoluzione della salute universale sono arrivati ben prima di quel che ci si può immaginare. Infatti già alla fine degli anni settanta qualcosa si muove. Passa l’idea che lo Stato e le strutture pubbliche si trovino nell’impossibilità di far fronte ai crescenti e complessi bisogni sociali della popolazione e che non siano in grado di soddisfare le richieste sempre più articolate, avanzate dal mercato. Con il procedere di tale idea si sviluppano e assumono un ruolo di primario rilievo organizzazioni private che negli anni hanno accompagnato l’innovazione dei sistemi di welfare, rimodulando la ripartizione dei compiti di assistenza e fornitura dei servizi tra Stato, mercato e società civile.
La creazione di soggetti dai profili economico-aziendale, giuridico, sociologico e politico del tutto nuovi trova così terreno fertile per proliferare nell’ambito che oggi prende il nome di Terzo settore. L’idea, che compare originariamente nel “Progetto per l’Europa” di Delors del 1978, era “terzo sistema”: ne stato ne mercato. Immaginato come una rete, il suo scopo era quello di “porsi al centro dello sviluppo economico per risolvere il problema della disoccupazione e della povertà sociale” ” (Giorgio Ruffolo).
Nella realtà lo stato scarica le proprie responsabilità di assistenza sociale nei confronti dei cittadini a terze strutture che svolgono prevalentemente la loro attività in ambiti non profittevoli andando a riempire gli spazi lasciati vuoti dalle imprese commerciali ed industriali che operano sul mercato. Osservata sotto la lente d’ingrandimento dei quarant’anni trascorsi, questa realtà si è trovata ad essere molto spesso in rapporto conflittuale con lo stato e troppo vicina, se non proprio in balia del mercato che le ha imposto una coscienza imprenditoriale attraverso l‘utilizzare di strumenti tipici delle aziende commerciali.
Solo recentemente la legislazione italiana è riuscita a fare un po’ di ordine a tutte le libere iniziative del settore, dandone una comune definizione giuridica, precisa e complessiva attraverso la Legge 106 del 6 giugno 2016 e i successivi quattro decreti legislativi che ne hanno caratterizzato gli ambiti di applicazione. In tutto questo discorso rimane centrale il problema delle fonti di finanziamento a cui si approvvigiona il terzo settore. Queste derivano essenzialmente da contributi di aziende del primo settore, oltre che dal volontariato di privati cittadini e da accordi e convenzioni con la pubblica amministrazione.
È proprio grazie ai fondi messi a disposizione da questi soggetti che il terzo settore riesce a fornire i propri servizi. In questo modo sono fiorite iniziative, nel settore socio-sanitario, nella cultura, nella tutela dell’ambiente e della sostenibilità ma anche nell’educazione che ad oggi impiega attivamente oltre diecimila enti e quasi ottocentomila dipendenti, centottantamila dei quali nella sola sanità. Nel solo in Friuli Venezia Giulia la cooperazione sociale, che assieme alle associazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale costituiscono una parte fondamentale del terzo settore, vede più di tredicimila addetti che forniscono il cinquanta per cento dei servizi alla persona.
Oggi è in atto un percorso partecipato di recepimento del nuovo Codice del Terzo Settore nella normativa regionale. È stata avviato l’iter per la costruzione di un disegno di legge che regoli i rapporti del settore della “libera iniziativa solidale” con gli Enti Locali e le Pubbliche Amministrazioni, nel quadro della specialità del Friuli Venezia Giulia. Nel difficilissimo momento storico che stiamo vivendo, l’impegno dei cittadini e delle loro organizzazioni sociali al fianco delle istituzioni saranno gravate da ancora maggiori responsabilità “proprio perché l’emersione e la presa in carico delle fragilità e delle solitudini sarà un problema con il quale dovremo sempre più confrontarci, mettendo in campo azioni e strumenti in un’ottica che rafforzi e consolidi l’alleanza tra le istituzioni e il volontariato” sono le realistiche parole dell’assessore alla sanità della nostra regione.