Come già discusso su questa testata, nella pandemia in corso le diseguaglianze e le differenze di classe sono riemerse in tutta la loro forza, non solo per via delle restrizioni con le conseguenti ripercussioni economiche sui soggetti più deboli, ma da un punto di vista sanitario vi sono persone più esposte ai rischi, da una parte dovuti ai problemi strutturali del nostro Sistema sanitario nazionale, a cui sono state destinate sempre meno risorse e che ha progressivamente subìto le logiche della società di mercato in cui viviamo; dall’altra i dati ci dicono che le malattie croniche, fortemente predisponenti per un esito infausto della malattia da sars-cov-2, sono più diffuse nelle classi sociali più basse.
Queste tematiche sembrano ormai essere cadute nel dimenticatoio delle agende dei soggetti politici e della maggior parte delle trasmissioni mediatiche, ma le diseguaglianze di classe sono tuttora all’origine di una disparità nel diritto alla salute in base a fattori economici, sociali e culturali. Tralasciando le malattie professionali, che meriterebbero una trattazione a parte, una manifestazione patologica segnata dalla condizione socio-economica è l’obesità, così come una delle sue più comuni complicanze, il diabete.
In linea di massima le malattie legate all’alimentazione, o comunque a fattori ambientali, sono più diffuse nelle classi sociali più povere. Ad esempio, note catene di fast food aprono i loro punti vendita spesso nei quartieri più disagiati, perché è direttamente correlata la possibilità di un pranzo economico che potremmo definire “junk food” con le suddette condizioni che portano a sfamarsi con pochi euro.
Alcuni anni fa l’obesità è stata finalmente riconosciuta come una patologia, condizione tra l’altro predisponente a malattie cardiovascolari, neurologiche, muscolo-scheletriche, oncologiche, e metaboliche (in Europa si può stimare che il sovrappeso e l’obesità sono responsabili di circa l’80% dei casi di diabete di tipo II, e del 55% dei casi di ipertensione arteriosa). I dati indicano che un 32% dei soggetti sono affetti da sovrappeso, e tra questi la maggior parte sono di sesso maschile; mentre per quanto riguarda fascia di obesità la percentuale è intorno all’ 11%. Per quanto riguarda la diversa distribuzione geografica, l’incidenza è maggiore nell’Italia meridionale e nelle Isole rispetto all’Italia settentrionale. Ovviamente i soggetti con obesità grave sono stati inseriti tra quelli fragili che hanno precedenza per quanto riguarda la vaccinazione covid-19.
L’obesità e il sovrappeso incidono soprattutto nelle fasce di popolazione economicamente svantaggiate ma, analizzando la distribuzione della spesa familiare, ci accorgiamo che non viene mai penalizzato il cibo in termini di quantità, ma in termini di qualità. Uno dei problemi è in effetti l’assunzione di cibo che apporta molte calorie ma pochi nutrienti, tipico della cosiddetta “dieta occidentale”.
L’intervento dieto-terapico in un soggetto in sovrappeso o obeso ha una duplice funzione, quella di migliorare questi parametri attraverso la perdita di peso ma anche di migliorare la qualità di alimentazione. Gli alimenti ad alta densità energetica sono anche elementi con un basso contenuto di micronutrienti (vitamine, minerali) e di conseguenza espongono ad una condizione di malnutrizione.
Anche se le nostre tradizioni sono improntate alla dieta mediterranea, purtroppo sta avvenendo una progressiva deriva di questa dieta (che è indiscutibilmente riconosciuta come il modello più salutare sia in prevenzione primaria che secondaria, nei confronti dell’obesità e del diabete, ma anche di tumori, malattie cardiovascolari e neurodegenerative). Infine, un altro dato ci indica che in Italia viene svolta poca attività fisica e la percentuale di soggetti che fanno almeno 150 minuti di attività fisica a settimana è inferiore al 30%.
Ovviamente l’intervento maggiormente auspicabile è sempre quello preventivo. A livello politico sarebbe necessario predisporre e rafforzare programmi di educazione all’alimentazione, puntando in una migliore consapevolezza della qualità nutriente dei vari alimenti, recuperare l’attenzione sulla dieta mediterranea e dall’altra parte rendere più accessibile la possibilità di svolgere attività fisica anche attraverso incentivi economici e sgravi fiscali.
Il Diabete di tipo II origina come conseguenza di un’obesità, e sua volta comporta una gravissima complicanza con elevati costi sociali, il cosiddetto “piede diabetico”. Di fatto i diabetici camminano su piedi che mancano in sensibilità, quindi non si accorgono dell’ulcera
che compare in principio. Quindi il rischio è maggiore per le persone che vivono da sole, e di bassa classe socio-economica.
Il medico del territorio, che rappresenta il primo livello dell’organizzazione assistenziale per questi pazienti, dovrebbe svolgere una sorta di prevenzione “primaria” rispetto all’ulcera, ma questo purtroppo non avviene. La medicina territoriale e quella preventiva sono state smantellate, private delle risorse nell’attuale sistema di mercato e di “sovranità del mercato”, mentre queste dovrebbero essere il grande baluardo nella gestione delle malattie croniche.
Dunque in quel processo che dovrebbe ricostruire il nostro sistema sanitario pubblico nazionale con il superamento dell’attuale impostazione aziendalistica e con una spesa pubblica adeguata verso la prevenzione primaria, la medicina territoriale e quella preventiva dovrebbero riconquistare la loro posizione atta a incidere realmente nella gestione della salute pubblica. Ma nell’attesa di questa riparazione, cosa può fare il singolo individuo, quotidianamente, in una prevenzione che genericamente definiremmo primaria?
Controllo quotidiano della pianta del piede: spesso una persona anziana si trova a vivere da
sola, perciò è importante l’uso dello specchio per controllare le piante dei piedi (spesso non si riesce a sollevare il piede fino a potersi guardare le piante, dove esistono i punti di appoggio e sono più facili il microtrauma e il trauma, dunque riveste una certa importanza la presenza del medico del territorio e la formazione rivolta a parenti o altre persone che si dedicano alla loro assistenza); utilizzare cautela nella pedicure, rimozione dei calli, taglio corretto delle unghie (a quadro, non ad arco), non camminare mai a piedi nudi dato che microtraumi e traumi sono sempre possibili, e proteggere i piedi dal freddo. Quando si asciugano i piedi, mai farlo strofinando (anche questo potrebbe portare a microtraumi), ma meglio asciugare tamponando. Sono abitudini molto banali che però sono contenute nelle linee guida ufficiali, come il cambio quotidiano dei calzini e l’uso di scarpe comode, ovvero avere una pianta larga, evitando una sovrapposizione o un affossamento delle dita.