Ristoratori di tutto il mondo unitevi! Oggi questo forse dovrebbe essere il motto urlato dai nuovi protagonisti della scena sociale, in luogo dei vecchi cari proletari, come diceva il barbuto di Treviri, che tanto non esistono più come vuole la vulgata neoliberista e ipercapitalista che è l’unica ermeneutica del mondo consentita, e poi, oggi, chi si vuole autodefinire come proletario? Ma nessuno, figuriamoci! Troppo fuori moda.
Oggi il protagonista e attore unico sulla ribalta sociale, che ha l’attenzione a reti unificate di tv, stampa e propaganda, è il mitico Ristoratore, non certo il suo dipendente, il cuoco, il cameriere, lavoratori silenti e oscurati di una filiera della ristorazione e del turismo che è nota solo per la povertà delle retribuzioni e dei diritti realmente esigibili, i terminali sconosciuti dello sfruttamento che mai nessuno fa vedere.
No, solo il Ristoratore che urla in favore di telecamera ha diritto alla ribalta, così come, nella crisi del 2008, solo l’Imprenditore che si suicidava aveva diritto al rispetto sociale, e poi, negli anni successivi, ” l’Imprenditore che non ce la fa più”, per rammentare il paesaggio sociale disturbato dei nostri anni psicotici.
Pensare che negli anni Cinquanta i protagonisti dello scontro sociale erano i braccianti, negli anni Sessanta e Settanta gli operai, negli Ottanta, e qui inizia il mutamento percettivo e sociale, l’Imprenditore/ Corsaro della finanza, oggi il Ristoratore…Chi l’avrebbe mai detto…
Eppure, a ben vedere, uscendo dall’ironia, pure giustificata, anche perché non si parla d’altro in tv, qualche ragione sociologicamente fondata c’è, perché in questi ultimi 15-20 anni di desertificazione industrial-produttiva, vedasi il meritorio lavoro di Luciano Gallino, venuto meno un intero mondo economico, per ragioni interne ed esterne al processo di globalizzazione imperante, l’unica speranza di reddito e lavoro per tantissimi connazionali è diventata l’apertura di una attività, preferibilmente nella ristorazione, ma anche nel terziario in generale, nel turismo, con l’esplosione di B&B, bar, oramai più diffusi delle basole dei centri storici.
Chiaramente, con l’irruzione della pandemia nella scena del mondo, questa economia del divertimento e del turismo è crollata miseramente, e si sono trovati a terra sia il figlio del pensionato che ci ha messo tutti i risparmi per aiutarlo ad aprire l’attività, sia il ricco industrialotto del divertimento, magari con più locali, che ha sicuramente più risorse per poter resistere più a lungo, ma certamente comincia a vedere il futuro a tinte sempre più scure.
Il punto, politico, economico e oserei dire ideologico di tutta la questione, è: è stata sbagliata l’idea che un intero paese, una nazione al completo, potesse fare a meno di comparti produttivi decisivi, di settori industriali fondamentali nella mondializzazione che ha deciso della nostra missione nel mondo, per fare dell’Italia un grande resort per turisti anziani e non? Fatto solo di bar, ristoranti, pub e B&B, con milioni di persone condannate a fare da camerieri in Italia o nelle capitali europee, che è più trendy, ovviamente.
Qualcuno chiederà scusa per la follia del progetto neoliberista di impoverimento sociale, per i frusti slogan all’insegna di: “Vivremo solo di turismo!”. Ma veramente abbiamo creduto a questa pazzia politica agita sulla pelle delle persone? Perso il socialismo, è rimasta solo la barbarie.