Uno dei più grandi problemi che i decisori nazisti dovettero affrontare per attuare il programma di riarmo era l’approvvigionamento di materie prime. Negli anni venti la bilancia dei pagamenti tedesca riusciva a pareggiare le uscite di valuta grazie alla vendita all’estero di beni prodotti dall’industria e all’afflusso di capitali stranieri, soprattutto statunitensi. Con la crisi del ’29 che divenne una depressione economica nei primi anni ’30 ci fu un’importante uscita di capitali dalla Germania.
Le riserve valutarie della Reichsbank vennero prosciugate. Nel 1931 si decise di attuare un severo controllo sull’uscita di capitali. Tuttavia dall’avvento del nazismo, mancando l’afflusso di consistenti investimenti esteri, le esportazioni non generavano abbastanza valuta estera per soddisfare le esigenze di una economia in crescita trainata dai nuovi ed ambiziosi piani militari.
Bisognava quindi selezionare le importazioni che dovevano per forza essere acquistate e che avevano la precedenza su altri tipi di beni. Per fare questo il ministro dell’economia Schacht nel 1934 introdusse dei controlli sui cambi monetari ancora più stringenti di quelli precedenti e l’acquisto di beni e materi e prime dall’estero veniva autorizzato in base a dei livelli di urgenza definiti dallo stato.
Il programma di riarmo veniva basato anche sui ritmi di produzione di armamenti e munizioni, soprattutto venivano calcolati i tempi di autosufficienza dell’industria rispetto ad un blocco del flusso di materi prime in caso di guerra. Ci si rese conto che la capacità di condurre un conflitto rendeva necessario un maggior grado di autonomia economica. All’epoca circa il 70% del ferro utilizzato nei processi industriali veniva dall’estero. Il programma Schlattmann nasceva per ovviare a questi inconvenienti e riguardava l’industria siderurgica.
Questo piano trovò piena attuazione dopo che nel 1935 vennero rescissi i contratti di importazione di minerali ferrosi dalla Francia. Soprattutto le acciaierie della Saar che dipendevano dagli approvvigionamenti francesi si trovarono spiazzate. Fu quindi richiesto alle maggiori aziende siderurgiche della Ruhr di approntare un piano per utilizzare materie prime tedesche. Il problema ovviamente era sia di tipo tecnico e fisico, sia dell’inevitabile aumento dei costi che gli industriali non si volevano accollare. Questi “extra costi” vennero calcolati in circa 40 milioni di Reichsmark per gli investimenti in conto capitale e 19 milioni all’anno di aumento permanente dei costi di produzione.
Heinrich Schlattmann era a capo del dipartimento minerario del ministero dell’economia ed era il dirigente deputato a trovare un accordo con l’industria siderurgica della Ruhr. Nel 1936 fu siglata l’intesa che prevedeva un aumento della produzione nazionale di materie prime (5,8 milioni di tonnellate) da cui ottenere ferro per 1,7 milioni di tonnellate. Gli industriali rinunciarono alla richiesta di finanziamenti statali per supportare i nuovi costi.
Si era ancora lontani dall’autosufficienza e il ministero dell’economia lavorava cercando di gestire questi programmi tenendo conto degli interessi commerciali ed imprenditoriali. Con la nuova produzione nazionale diminuiva le necessità di importare ferro dall’estero e al contempo calavano le pressioni sul mercato dei cambi. Successivamente il piano quadriennale di Göring spinse l’industria a sviluppare sempre di più l’utilizzo di materie prime autoctone.