Non condivido la lettura dominante del conflitto tra Conte e Grillo che vedrebbe un Avvocato del Popolo in difficoltà nell’agguantare definitivamente la leadership del MoVimento, a causa delle bizze psicotiche di un Fondatore in preda ad una smania di egoismo senile.
Secondo me è una lettura di comodo, tipica degli schemi consueti della società dello spettacolo a cui è oramai ridotta la politica da oltre tre decenni, che privilegia gli aspetti estetici, “cosmetici”, del fatto pubblico, come l’arcinota fronte imperlata di sudore di Nixon nel 1960 durante la disfida televisiva con Kennedy, o le trovate di Berlusconi che firma in favore di telecamera un fantomatico “contratto con gli italiani”.
I cosiddetti retroscena dei giornali sono saturi di analisi pseudopsicologiche che descrivono un Grillo in versione Kim-Jong-Un, succube della sua paranoia, deciso a portarsi nella tomba la sua creatura, insensibile alle sirene moderatrici di Conte che, invece, vorrebbe introdurre un passo politico meno agitato ed estemporaneo, più in linea con le immagini tranquillizzanti dei partiti pienamente integrati nella sintassi brussellese, guidati da compassati politici alieni da colpi di testa e follie improvvise.
Invece io credo che stia andando in scena un vero e proprio conflitto politico, non un confronto tra opposte psicologie, sulla scorta dell’analistica politica prevalente, una lotta all’ultimo sangue che ha una posta in gioco molto chiara e netta: il futuro della formazione pentastellata e la sua collocazione in un contesto post-grillino, se mi è concessa l’immagine.
D’altronde, già con il patto con il “partito di Bibbiano”, l’ex nemico mortale, quanti milioni di “pidioti” sono stati sparsi a piene mani nei tempi felici del celodurismo grillino!, il processo di riformattazione del M5S, in senso più moderato e pro Ue, aveva raggiunto un buon punto, adesso si tratta di completare l’opera, depurando il MoVimento dalle ultime scorie anticasta e antipartito per farne una sorta di Pd più fresco e pulito, senza i cascami della sua classe dirigente bollita da tempo, e questo solo il Conte pop lo può fare, grazie anche ad un consenso superiore a quello dei piccoli uomini della politica italiana.
Anche perché, sia Grillo che Conte il Draghi di governo lo hanno accettato senza colpo ferire, quindi non stiamo parlando di un confronto tra opposte visioni in campo economico e politico, ma di come il percorso neomoderato e l’approdo in un certo senso verso lidi organizzativi più novecenteschi possa essere svolto con il minore danno possibile.
La lotta che sta conducendo Grillo nei confronti di quello che è pur sempre una sua creatura è di natura differente da un confronto ideologico, e più attinente alle dinamiche di potere tipiche delle formazioni complesse, ovvero l’Elevato vuole continuare ad esserlo, non volendo freni né tantomeno codicilli di statuti troppo simili a quelli degli odiati partiti del ‘900.
Grillo si vuole riservare il ruolo di deus ex machina che irrompe all’improvviso per raddrizzare cose che a lui possono sembrare storte, o per provocare percorsi a lui graditi, tanto che gli snodi essenziali della vicenda politica del M5S si identificano con le sue discese a Roma dove ricrea ogni volta il circuito carismatico. Conte, che vuole carta bianca, o quasi, non può mai accettare questo diktat, ovviamente. Questo è il nocciolo politico della contesa, figlio della società dello spettacolo, con un retrogusto di singolar tenzone medievale ma in un contesto ideologico pienamente postmoderno.