In occasione del primo appuntamento del ciclo di incontri organizzati dai collaboratori di questo blog avvenuto una settimana fa, vorrei presentare la prima parte di un breve scritto riguardante l’argomento che ho esposto, vale a dire l’arte di rivoluzione del 1968.
Il moto del Sessantotto è stato un movimento politico e sociale, ma rappresenta anche una data antropologica, nella quale le arti si inseriscono nella ricerca di nuove strade.
Questo anno segna non solo la transizione dal mondo moderno al postmoderno, che, come sappiamo, invade ogni campo della società, ma è una rivoluzione totale: è antiautoritaria, poiché vuole mettere in discussione i ruoli nella società; è una rivoluzione linguistica, poiché vuole cercare il modo di modificare la lingua; è libertaria, perché vuole rovesciare la morale borghese, la famiglia, il modo di mangiare e di vivere; è inoltre una rivoluzione anticapitalista che si vuole disfare del sistema economico-sociale per aprire le porte a nuovi rapporti sociali ed economici.
Come specchio della società, tutto ciò si riversa anche nel mondo dell’arte, partecipando attivamente al cambiamento.
In questi anni l’arte diventa un potente mezzo di espressione: dai quadri ai disegni, dai colori sgargianti al bianco e nero grafico. Inoltre, lo stile e l’estetica delle opere diventano funzionali e parte integrante del messaggio politico.
In questo modo le opere escono dai tradizionali confini dell’arte per avvicinarsi alla vita reale, affrontando in alcuni casi le questioni più rilevanti, dalla lotta politica, al dibattito sui temi sociali, creando così un’idea di creatività e di arte al servizio della società.
Si sviluppano anche i movimenti giovanili e studenteschi come esigenza dei ragazzi degli anni Sessanta che si sentivano insoddisfatti, fuori dalla società di appartenenza, con delle insicurezze proprie che stimolano la ricerca di nuovi modelli di comportamento (cioè contro le tradizioni), di proprie forme di aggregazione e di culture alternative.
Di conseguenza le arti e la cultura vengono filtrati attraverso l’industria culturale, dove le forme tradizionali di associazione come la famiglia, vengono presentate come sottomesse ad una massa manipolata.
Questi cambiamenti culturali portano alla sostituzione della realtà da parte di immagini e simulazioni. Il postmodernismo crea un nuovo rapporto tra vita quotidiana e arte, nel quale crollano alcuni dei confini tra le due, come lo spostamento dell’arte all’interno del design industriale, della pubblicità e ovviamente della propaganda.
Design e pubblicità vengono così confusi con l’arte e vengono celebrati e museificati come tale.
Si può dire quindi, che l’arte postmoderna degli anni Sessanta vuole da una parte deautorizzare la stessa arte ma nello stesso tempo punta ad esprimere una tipologia di arte che può entrare ovunque e in qualsiasi materia.