Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è diventato una vera “vacca sacra” dell’establishment del nostro paese. La popolazione, erosa dalla paura derivante dai bollettini quotidiani di centinaia di morti per Covid, dalle notizie di imminente collasso economico, dalle misure di confinamento che hanno ridotto tanta parte delle popolazione ad un isolamento snervante, ed in generale da un clima di emergenza perenne, ha ricevuto dalle stesse fonti un raggio di speranza e positività. La solidarietà europea, negando anni di cupa indifferenza ai drammi sociali, si affiancava alla campagna vaccinale come indispensabile risorsa per salvare il paese.
In tale aspettativa collettiva si è inserito uno strumento pattuito a livello europeo che pare unire alla virtù salvifica l’abbondanza della cornucopia:
la “pioggia di miliardi”.
Se si guarda più da vicino lo strumento comune chiamato Next Generation EU ed il PNRR ad esso correlato, il quadro non pare così positivo. In particolare possiamo vedere quattro profili di problematicità:
- l’iter della sua approvazione,
- la modalità di finanziamento,
- i contenuti e le condizionalità che in realtà comporta.
Sul primo punto va sottolineato che da strumento per la ripresa è divenuto elemento funzionale a plasmare le società europee nel solco della “vecchia” Ue, cioè ponendo al centro competitività, mercato, concorrenza. Se si guarda i dettagli del processo di approvazione infatti si vede un pericoloso assottigliamento della democrazia. Dopo la approvazione del NGEU nell’estate del 2020 la scrittura del Piano da parte dell’Italia (ognuno deve scrivere il suo e proporlo alle autorità Ue per l’approvazione) ha sostanzialmente marginalizzato il Parlamento della Repubblica, affermando il primato dell’Esecutivo, lasciando all’assemblea legislativa l’infelice ruolo di mero organismo consultivo che ha dovuto approvare un testo assai impegnativo senza poterlo discutere.
Tale documento, il PNRR, è un impegnativo programma di riforma dei seguenti settori:
- Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo;
- Rivoluzione verde e transizione ecologica;
- Infrastrutture per una mobilità sostenibile;
- Istruzione e ricerca;
- Inclusione e coesione;
- Salute.
Si programma un grande numero di misure legislative e investimenti da attuarsi dal 2021 al 2026. Il numero e la tecnicità di molte di esse sfidano la comprensione del cittadino comune; ma molte di esse hanno già nei titoli una forte inclinazione di mercato, aziendalista e privatizzatrice. Diverse altre, invece, hanno degli obiettivi che parrebbero condivisibili (costruire asili nido, tutelare la biodiversità) ma che nella loro portata attuativa paiono dover coinvolgere il settore privato in maniera preponderante senza che compaiano precise clausole sociali. In altri termini si profila un’orgia di finanziamenti alle imprese con larghe possibilità di lavoro sottopagato.
Quanto al finanziamento: prima di tutto la somma non è poi tanto ingente, 750 miliardi per tutta la Ue non è così favolosa, considerando che il PIL degli Stati membri del 2019 era 15.689 miliardi $ (calati nel 2020 a 15.263) e che la somma va spalmata su sei anni, cioè investimenti annui pari allo 0,9% sul PIL totale; se poi si considera che la cifra finale sarà più bassa, cioè circa 570 miliardi si scende allo 0,71%.
Ma perché la cifra più bassa? La ragione risiede nel fatto che essa nel suo complesso comprende prestiti per 360 mld e sovvenzioni per 390. La maggior parte degli Stati ha deciso di prendere solo quest’ultime; perciò gli stanziamenti finali saranno inferiori. L’Italia invece ha scelto di prendere tanto i prestiti (122,6 mld) che le sovvenzioni (68,9 mld).
L’intero ammontare verrà preso in prestito dai mercati finanziari privati dalla Commissione prima di elargirlo agli Stati beneficiari; perciò ricadiamo sempre in questo tipo di logica di finanziarizzazione il cui approfondimento ha già recato innumerevoli danni all’economia mondiale.
Quanto al quarto punto, gli stanziamenti avverranno secondo un meccanismo di rateizzazione condizionale: per ogni semestre fra 2021-26 sono elencate minutamente una serie di obiettivi il cui raggiungimento verrà verificato dalla istituzioni comunitarie prima di erogare i fondi. In caso di negligenza il pagamento verrà ritardato o persino cancellato, e nei casi di più grave inadempienza le somme già date chieste indietro. Tale meccanismo comporta due conseguenze molto serie: da un lato l’agenda del PNRR diventa irreversibile, perché un nuovo governo pur non potendo essere d’accordo con tali misure non potrebbe lasciare il “lavoro a metà” o selezionale le misure più congruenti con il proprio indirizzo politico, perché ciò costituirebbe un danno di reputazione e un ammanco di risorse per il paese insopportabile. Perciò possiamo tranquillamente ritenere che la politica economica italiana sia commissariata per i prossimi anni, indipendentemente dall’indirizzo politico espresso dai processi democratici, a favore dei ceti più abbienti e delle cordate di interesse padronali più radicate.
La marginalizzazione dell’assemblea legislativa – e di altre istanze quali gli enti locali – non è quindi determinata dal colore politico del governo in carica, ma dalla stessa logica di accordo mercantile, sovraordinato alle stesse istituzioni della Repubblica che è alla base del NGEU.
Ma c’è un aspetto anche più insidioso: ogni PNRR nazionale deve dare risposta alle Raccomandazioni espresse dalla Commissione nei suoi country-report nella vigilanza dei bilanci nota come Semestre europeo. In più le procedure di infrazione che la Ue può attivare per uno Stato recalcitrante rispetto al rispetto dei famosi parametri di disciplina di bilancio si armano della possibile sanzione di ritardo o cancellazione dei fondi del NGEU. La cosa adesso è occulta perché i parametri sono sospesi ma sono palpabili le intenzioni di riattivarli nel 2023, quando tutti i membri saranno gravati da debiti pubblici assai consistenti, dovuto al sostegno a lavoratori e imprese.
La famosa “svolta” che gli europeisti si attendevano si è rovesciata in una conferma ancora più tagliente della curvatura antidemocratica e mercatista della Ue, con una conferma del famoso “vincolo esterno” con più strumenti che mai. Se come pare le politiche monetarie si faranno restrittive il processo con cui le classi popolari vedono logorare le loro condizioni potrà accelerarsi drammaticamente, facendo svegliare i tanti sognatori dai loro reami dorati per ritrovarsi nel mezzo di un duro conflitto sociale in cui le forze critiche e antiegemoniche dovranno provare a dispiegare le loro strategie.