Tra i grandi condottieri della Storia Alessandro Magno è forse quello che più di tutti sembra appartenere non al mondo reale, bensì alla sfera dell’epica e della poesia: asceso giovanissimo al trono di Macedonia, uno staterello di secondaria importanza, in poco più di dieci anni creò un impero quale mai si era visto prima, conquistando la Persia e spingendosi fino alle estreme regioni della terra, per poi morire a soli trentatré anni (età fatidica!), vittima del suo spirito avventuroso e di vizi pari alle virtù. Davvero il paragone con l’omerico Achille – che egli incoraggiò in vita, venerando nel mirmidone il suo modello – non è il frutto della piaggeria di letterati di corte: come l’antico eroe, il colto e intemperante Alessandro visse un’esistenza breve ma densissima, costellata di trionfi, amori e disgrazie.
A una sostanziale deificazione contribuirono la baldanza giovanile e il bell’aspetto, che compensavano la bassa statura: il primogenito di Filippo aveva una lunga chioma bionda che incorniciava un volto dai tratti armoniosi eppure maschi, e a quanto pare occhi di colore diverso, ma vivi e sognanti. In Alexandros Giovanni Pascoli lo immagina deluso e piangente una volta raggiunti i confini dell’orbe: più dei successi militari, colti contro avversari spesso numericamente preponderanti (almeno a Isso e a Gaugamela) ma non irresistibili, a fare del macedone un’icona furono la sua sete d’infinito, la curiosità mai doma, l’instancabilità, l’indole malinconica, il fascino magnetico che esercitava su chiunque lo accostasse. Le imprese del sovrano, così come i nomi dei suoi nemici (Dario III e l’indiano Poro… anche se i più agguerriti furono il mercenario Memnone e Spitamene di Sogdiana), sono ben note al grande pubblico: in questo articolo cercheremo di analizzare, dal punto di vista di psyops, alcuni comportamenti tenuti da Alessandro Magno nel corso delle sue interminabili campagne.
Passato per la prima volta in Asia dopo aver sottomesso la Grecia (e raso al suolo la gloriosa Tebe dalle sette porte), il giovane re si recò immediatamente a Troia, “risorta” dopo la distruzione di un millennio prima. Snobbando la lira di Paride Alessandro, che i cittadini gli offrivano, egli onorò il leggendario Achille nel seguente modo: untosi d’olio, corse nudo insieme ai suoi compagni fino alla tomba dell’eroe, e qui depose una ghirlanda. Era un tributo assai notevole, reso in maniera spettacolare; e il gesto, al pari di quasi tutti quelli compiuti da Alessandro in vita, aveva un preciso significato simbolico e propiziatorio.
Come testimonia Erodoto, prima di penetrare in Grecia 150 anni prima, re Serse era salito alla rocca di Priamo, e colà aveva sacrificato mille buoi agli dei per ottenerne il favore. Toccava ora all’occidentale richiamarsi a quell’antica epopea: Alessandro “continuò ad accentuare il suo legame con la prima invasione greca, quella del passato omerico. Tributò sacrifici alle tombe di Aiace e di Achille e li onorò come suoi degni predecessori, perché al momento di invadere l’Asia era il favore degli eroi greci della guerra troiana che egli riteneva particolarmente importante per la sua campagna (così lo storico Robin L. Fox).” In tale occasione, la propaganda del macedone parlava a due popoli: ai persiani, rammentando loro che mai l’oriente era riuscito a prevalere sull’occidente e che lui, l’emulo di Achille, non si sarebbe arrestato fino alla definitiva vittoria; ai riottosi greci, rivendicando per il condottiero, la sua casata e i compagni la piena appartenenza alla koinè culturale ellenica. Il sovrano-eroe è invincibile (o presentato come tale) già prima di attaccare battaglia…
C’è un ulteriore episodio, relativo agli esordi dell’impresa asiatica, che attira la nostra attenzione sulla capacità del re di sfruttare le percezioni a suo vantaggio: a Gordio, davanti al pubblico più vasto possibile, egli raccolse una sfida, consistente nello sciogliere un nodo di corteccia che, nell’acropoli, legava il carro di re Mida al suo giogo. In quattro secoli nessuno c’era mai riuscito, ed anche Alessandro, per quanto tirasse, non ottenne dapprima alcun risultato. Visto che un fallimento avrebbe nociuto al suo prestigio, “umanizzandolo”, egli snudò la spada e tagliò finalmente il nodo a metà, affermando che esso era stato sciolto, se non disfatto! Un atto di arroganza? Piuttosto una mossa geniale, dettata più dal calcolo che dalla frustrazione: se avesse risolto la questione in modo maggiormente ortodosso, forse il giovane re non sarebbe riuscito ad attrarre altrettanto interesse su di sè. I suoi propagandisti trasformarono l’evento in un leggendario successo: racconta Arriano che “ci furono tuoni e lampi proprio in quella notte” a significare che Zeus approvava e così furono offerti sacrifici “agli dei che avevano dato il loro segno e ratificato lo scioglimento del nodo”.
Basta considerare gli esempi fin qui riportati per giungere a una prima conclusione: con le sue gesta, gli atteggiamenti e le relazioni di ammaliati cronisti Alessandro intendeva far giungere il suo messaggio a tutti, posteri e contemporanei, amici e nemici. Mirava costantemente a crearsi intorno un’aura di leggenda, per fini che andavano dalla più rapida sottomissione d’un paese alla diffusione, nel tempo e nello spazio, della propria fama.
(La seconda parte verrà pubblicata sabato 9 ottobre)