ECOLOGIA LETTERARIA | Serenella Iovino
Una strategia di sopravvivenza
Edizioni Ambiente 2015
L’Ecocriticismo, o ecologia letteraria, è un filone di studi letterari che nasce negli Stati Uniti tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta del secolo scorso. A coniare il termine fu William Rueckert nel suo saggio del 1978 “Literature and Ecology: an experiment in Ecocriticism” mentre colui che lo fissò fu Joseph Meeker in “The comedy of Survival: Studies in Literary Ecology” definendo esplicitamente l’ecologia letteraria come quella disciplina che associa le tematiche biologiche alle opere letterarie.
In tempi recenti Lawrence Buell, titolare della cattedra di Letteratura americana presso la Harvard University e autore, tra gli altri, del testo “The Future of Environmental Criticism: Environmental Crisis and Literary Imaginations” (2005), diede della disciplina dell’ecocritica una descrizione che a tutt’oggi rimane quella più completa e calzante. Secondo Buell, inizialmente l’ecocritica riguardava varie forme del “nature writing”: la poesia della natura, il saggio naturalistico, la narrativa della frontiera, il romanzo della wilderness. Soltanto successivamente si iniziò ad estendere lo spettro d’azione, e a dare valore a qualsiasi contesto ambientale, come potenzialmente idoneo per il progetto ecocritico: aree urbane, suburbane, i villaggi, le zone agricole e quelle industriali, la terraferma e gli ambienti marittimi, gli interni e gli esterni. Perciò, “nel senso più ampio possibile, l’oggetto dell’ecocritica dovrebbe essere l’intera gamma dei modi in cui la letteratura, ma anche le arti, hanno concepito il rapporto tra gli esseri umani e il loro ambiente fisico.”
Il libro di Serenello Iovino, studiosa di filosofia e di letterature comparate oltre che professoressa ordinaria alla University of North Carolina at Chapel Hill, dove ha inaugurato la prima cattedra congiunta di Italian Studies and Environmental Humanities, riprende gli assunti teorici dell’ecocriticismo e propone un’interpretazione di alcune opere letterarie come veicolo di una “educazione a vedere” le tensioni ecologiche del presente. Il sottotitolo del testo rimanda ad una strategia di sopravvivenza che permette di individuare nelle narrazioni gli elementi con i quali l’uomo si è posto nei confronti del dramma ambientale che stiamo vivendo.
Ci troviamo di fronte ad una crisi ambientale senza precedenti, innescata dall’azione umana: “un fascio di eventi generatore di collasso”. Oggi l’ecologia letteraria può offrire la sua ricerca per ricalibrare concetti e creare interconnessioni. Abbiamo bisogno di nuova linfa per ridare vita e complessità ad un immaginario atrofizzato da oltre un secolo di ideologie industriali fallimentari, basate sullo sfruttamento indiscriminato del pianeta.
Abbiamo bisogno di abbandonare vecchi modi di pensare per poter costruire nuovi mondi. Donna Haraway assieme ad Anna Tsing ci dicono che noi dobbiamo lavorare affinché questo momento della stratigrafia terrestre, che i geologi con molti dubbi hanno chiamato Antropocene, rimanga il più piccolo possibile. Per poter costruire qualcosa che ci traghetti in territori meno insicuri e meno pericolosi avremo bisogno di usare l’immaginazione. Un autore come Matteo Meschiari si chiede: “in mezzo a visioni mute o invecchiate, in mezzo al collasso ambientale e al crollo dei saperi, non possiamo limitarci a immaginare l’Antropocene come una semplice distopia apocalittica. Quali alternative abbiamo? Quali tecniche possiamo ancora recuperare dal cumulo di detriti delle civiltà?” Per questo motivo abbiamo bisogno di una letteratura e una filosofia che ci permettano di costruire una vita culturale consapevole e capace di contrastare le tragiche conseguenze delle nostre azioni. Siamo quasi otto miliardi di persone nel mondo e quello che noi facciamo al pianeta, in questo equilibrio instabile e precario, lo facciamo anche a noi stessi. La letteratura e la filosofia ci fanno vedere quello che di solito viene ignorato dal linguaggio della politica. Italo Calvino in uno scritto che si intitola Usi politici giusti e sbagliati della letteratura, dice che il linguaggio della letteratura è attento a ciò che non ha voce e che “il mondo è fragile, una rete di avvenimenti impercettibili e lentissimi che sono il solo campo in cui la capacità umana di guida e salvataggio può intervenire”. La letteratura ma più in generale tutte le discipline umanistiche ci rivelano che abbiamo bisogno di guardare oltre l’umano per dare parola a ciò che non è umano: il clima, la geologia, la terra, il mare e i fiumi. Mettere in dialogo le scienze umane con le scienze dell’ambiente deve diventare una condizione assolutamente imprescindibile di una nuova visione del futuro.