La prima mostra si intitola Mind the Gap: è un progetto d’arte contemporanea promosso da Altreforme e dedicato a Franco Basaglia, lo psichiatra che ha scritto la legge 180 e prima ancora, buttato giù i cancelli dei manicomi. L’iniziativa si presenta nelle forme di un laboratorio artistico partecipato, una conferenza, una serie di presentazioni ed una mostra allo Spazio Marioni di via Caterina Percoto 6 ad Udine dove espongono Rita Casdia, Federico Tocchella e Valentina Knezevic. Il tema e filo conduttore delle opere esposte è il perturbante. Quello a cui siamo costretti quando subiamo un trauma, abbiamo un incontro imprevisto e letale al quale non possiamo sottrarci. Artisti e performers si muovono lungo quella linea di confine tra noto e ignoto, tra familiare ed estraneo quando lo spazio che si svuota del senso di ciò che noi definiamo identità, costringe all’indagine sui piccoli limiti tra normalità e diversità, umano e animale, bestialità e controllo, animato e inanimato.
“Voiceover” di Valentina Knežević è una preghiera che coniuga teatro, cinema, arti performative e figurative mettendo in scena la performance di un ballerino ex-soldato del conflitto jugoslavo. “Dicono che la paura sia debolezza. Ti hanno addestrato ad ignorare la sua esistenza”. Attraverso un flusso di coscienza fuori campo emergono memorie e traumi che imprigionano un eroe di guerra in sé stesso: come in una rappresentazione fantastica di Escher, siamo all’interno di una mente malata che gioca con i limiti psichici e geometrici del reale. Ciò che ci viene restituito è una coreografia che simula un addestramento militare, perfettamente costruito su un equilibrio di movimenti congelati dalla paura. Gli occhi spalancati del soldato sembrano resistere al richiamo verticale di un abisso in fondo al quale scorre il fiume carsico dei ricordi. “Come ci si sente ad uccidere un essere umano? Non ti preparano mai a quello. Non ti preparano a vivere l’esercito”.
“Isacco” di Federico Tocchella sperimenta e fonde diversi linguaggi e tecniche, cinema dal vero, animazione e video-art. Un bambino gioca nel parco con i pupazzi di plastilina che costruisce e anima con le mani. Inventa e racconta storie usandoli come protagonisti che prendono vita autonoma. Il suo pupazzo preferito si chiama Isacco, è un bambino come lui, che sogna, desidera, ha fiducia nel mondo. Isacco è felice perché deve andare con suo padre in montagna, per aiutarlo. Suo padre si chiama Abramo e la storia che il bambino mette in scena è il sacrificio di Isacco. Attraverso una vorticosa rielaborazione del racconto biblico, l’autore affrontare i temi del rapporto padre-figlio, della fiducia e del tradimento. La plastilina al pari delle immagini vengono usati come materiali espressivi per rappresentare le emozioni più profonde dei personaggi reali e immaginari che dimostrano di poter superare la paura con gli strumenti della fantasia.
Rita Casdia presenta cinque disegni della serie “Shapeless”: macchi di colore o forme stilizzate e acuminate su fogli bianchi che osservate da vicino assumono un impercettibile rilievo dall’evidenza materica. Quasi a voler far convergere disegno, scultura, pittura e scenografia, il set espositivo è attraversato dalla proiezione delle immagini di un altro lavoro della stessa autrice, Tree Story: una video animazione realizzata in stop motion in cui piccole sculture modellate in plastilina si animano per dare corpo ad un albero e a corpi dalle fattezze antropomorfe poco rassicuranti. È un discorso sulla genesi della vita, la solitudine e il destino degli esseri umani. I movimenti innaturali, i cambi di prospettiva, l’indeterminatezza delle forme che interagiscono e si compenetrano angosciano l’osservatore che sperimenta i segni di una vitalità indefinita e debordante.
La seconda mostra si trova presso l’incantevole Studiolo di riva Bartolini 8 dove giovedì sera l’artista udinese Walter Criscuoli concluderà una mostra di fotografie dal titolo 100 x 1, 2021. Sono scatti strappati alla quotidianità che nascono dall’incontro dell’autore con amici, in ambienti chiusi e all’aperto. Per far trasparire dalle immagini un sorriso, un soffio di vento o un equilibrio cromatico, gli scatti sono passati attraverso un paziente lavoro di estrazione, duplicazione e modifiche digitali. Dopo aver squassato i nessi tra pixel e creato nuovi equilibri, l’artista trova la propria visione quasi ponendo un fermaglio agli elementi che vengono riparati dalla rilettura meticcia di uno sguardo che rovescia il rapporto tra visibile e invisibile. Il risultato è la nascita di immagini che collidono con la realtà facendo emergere nuove figure che provocano improvvisi straniamenti. A fare da punctun per lo spettatore, in mezzo alla stanza, ci sono le uniche immagini in bianco e nero, quelle di Freud e Jung. Il visitatore ha così l’occasione di fare esperienza di una nuova lettura del mondo invisibile, quale è quello di ogni superficie. “In fondo per vedere bene una fotografia, è meglio alzare la testa o chiudere gli occhi” ha scritto Roland Barthes nella Camera Chiara.