Con la presa del potere da parte dei nazisti nel 1933 Litten decise di rimanere in Germania e di non scappare nonostante suo padre fosse ebreo anche se convertito al luteranesimo e per la sua attività forense spiccatamente antinazista. Non ultima la voglia di vendicarsi di lui da parte dello stesso Hitler non lo metteva in una facile situazione.
E difatti il 28 febbraio del ’33, la notte dell’incendio del Reichstag, fu immediatamente arrestato e posto sotto “custodia protettiva”. Naturalmente non fu il solo, ma uno dei primi di una lunga lista preparata dai nazisti per liquidare i loro nemici politici. Una lista che partiva dai comunisti tra cui i deputati del Reichstag Fritz Emrich, Ottomar Geschke, Ernst Schneller e Walter Stoecker, ma anche scrittori ed intellettuali come Carl von Ossietzky, un nome famoso all’epoca, direttore del settimanale “Die Weltbühne”. Ma anche socialdemocratici e membri dei partiti centristi.

La situazione già drammatica per gli oppositori del nazismo fu particolarmente infausta per Litten, egli infatti aveva portato in tribunale non pochi nazisti che adesso avevano la possibilità di vendicarsi di lui. La sua detenzione fu penosa e costellata da violenza e sopraffazione. Sua madre e suo padre che si erano rifugiati all’estero cercarono di liberarlo avviando una campagna di stampa internazionale, soprattutto in Gran Bretagna.
La famiglia Litten era molto in vista e con molte conoscenze ma non riuscirono ad aiutare il figlio, in alcuni momenti arrivarono a mitigare le dure condizioni di detenzione, ma probabilmente, il fatto che aveva portato alla sbarra Hitler, ne faceva la naturale vittima sacrificale della voglia di vendetta del capo nazista.
Stanco delle violenze subite, ma non ci sono prove in tal senso se non delle illazioni e delle confidenze dei suoi compagni di sventura, prima di subire un altro degli innumerevoli interrogatori inflittogli durante la prigionia decise di suicidarsi. Il corpo fu rinvenuto il 5 febbraio 1938. Fu un suo amico, Alfred Grünebaum, a trovarlo impiccato nelle latrine della prigione di Dachau dove si trovava dal 1937.
Il funerale si svolse sotto stretto controllo delle autorità e il corpo, chiuso in una bara, non poté essere visto nemmeno dai suoi familiari per espresso ordine dei nazisti.
La vicenda di Hans Litten ci ricorda che è molto difficile, in determinati momenti della storia, far passare una linea politica per via giudiziaria e che alla fine le questioni che interessano i rapporti di potere non possono che essere risolte con gli strumenti propri della politica.