Ma cosa si proponeva precisamente la cerchia che, con Hitler in apparenza fuori dai giochi, andava infoltendosi intorno ai due fratelli di Landshut? Senza dubbio un clamoroso cambio di rotta: il periodico Lettere nazionalsocialiste si rivolgeva alle masse proletarie della Germania settentrionale esortandole alla lotta anticapitalista. Joachim Fest (pag. 284) riporta l’opinione di uno “strasseriano” berlinese che invitava a non mostrar “paura di fronte alle parole lavoratore e socialista”, e sulle pagine del quindicinale si poteva leggere “noi siamo socialisti, nemici, avversari giurati dell’attuale sistema economico capitalista con il suo sfruttamento degli economicamente deboli. Noi siamo decisi a distruggere a ogni costo questo sistema”.
Tra gli obiettivi del gruppo, da conseguire con metodo rivoluzionario, figuravano la creazione di comuni agricole, l’esproprio delle grandi proprietà terriere e una parziale socializzazione delle imprese piccole, medie e grandi, e più di qualcuno fra i suoi membri guardava con interesse all’esperienza sovietica. L’estremismo “di sinistra” impersonato dai due Strasser e, fra gli altri, da un giovane intellettuale di nome Joseph Goebbels, il conseguente, paradossale avvicinamento del partito alle posizioni del SPD e del KPD – cioè degli odiati comunisti – facevano infuriare Hitler che, non appena uscito di prigione, si preparò al redde rationem.
Il casus belli fu rappresentato dalla disputa sull’esproprio dei beni delle case regnanti, cui Strasser e i suoi erano favorevoli. Nel direttivo convocato a Bamberga (1926), cioè per così dire “in casa”, Adolf Hitler lanciò un attacco durissimo agli strasseriani: parlò per oltre quattro ore di fila, facendo letteralmente a pezzi un programma che, ai suoi occhi, era pura eresia. “Il buon Strasser, l’onesto Strasser” – scriverà subito dopo Goebbels – prende la parola, balbetta… è frastornato, non riesce a difendersi efficacemente da quella gragnuola di improperi e accuse di tradimento, che non si aspettava.
Debolezza di carattere, codardia, scarsa fiducia in sé stesso e nelle idee professate? Niente di tutto questo: la foga oratoria dell’uomo di Braunau lo aveva impressionato, disorientato, annichilito. Noi che oggi sorridiamo con vacua sufficienza delle pose e del tono di Mussolini, che invece all’epoca funzionavano benissimo, siamo percorsi da un brivido allorquando (ri)sentiamo le concioni di Hitler: ogni sua parola è un colpo di frusta e possiamo bene immaginarci lo stato d’animo di un leader messo alla berlina, offeso, minacciato da quella voce sinistramente metallica.
A Bamberga il carisma di Adolf Hitler conquistò Goebbels, che prima era stato suo avversario: non Gregor né tantomeno Otto, forse il più “socialista” e radicale dei due. Nel 1928 il maggiore dei due fratelli fu eletto deputato al Reichstag, ma la sua stella era ormai al tramonto: non costituiva più un’alternativa al “capo”, ridotto com’era a un subordinato che si poteva blandire, sconfessare e – all’occorrenza – persino umiliare. Era sempre più isolato e dovette subire anche l’espulsione di Otto: segno che non c’era più posto – in un NSDAP erettosi a paladino del privilegio e della grande imprenditoria – per velleità socialisteggianti e anticapitaliste.
Dopo una sconfitta elettorale in Turingia si giunse alla resa dei conti: come già a Bamberga Hitler sommerse di contumelie lo sfiduciato oppositore interno, che dando sfogo alla rabbia e alla frustrazione a lungo represse abbandonò la sala per poi indirizzare alla “guida” una lunga e aspra lettera di dimissioni che gettò i vertici del partito nel panico.
Cosa aveva in mente Gregor Strasser, nel frattempo resosi irrintracciabile? Una scissione, una guerriglia sfibrante e letale in un momento di estrema difficoltà (visto che nel settentrione aveva ancora numerosi estimatori ed era pur sempre un parlamentare)? Purtroppo per lui niente di tutto questo: “Il tanto ricercato e temuto Strasser, che per un momento storico sembrò avere nelle proprie mani il destino del movimento, si limitò a trascorrere il pomeriggio in compagnia di un amico, davanti a un bicchiere di birra (J. FEST, pag. 427)”; quindi se ne andò via in treno, da solo. Non tutti gli uomini sono all’altezza del ruolo che prospetta loro la Storia: non lo fu Gneo Pompeo e non lo fu nemmeno Gregor Strasser, la cui fine politica anticipò di poco quella fisica.
La “notte dei lunghi coltelli” se lo portò via assieme ai capi di quelle SA che il borioso fondatore Ernst Röhm immaginava di sostituire come forza combattente all’esercito regolare egemonizzato dai cavalieri prussiani. Anche Röhm – nazista della prima ora al pari di Strasser – detestava i capitalisti ed auspicava una “seconda rivoluzione” che Hitler, oramai determinato ad allearsi con l’élite economica tedesca, non poteva permettersi: la conseguenza fu un cinico e sanguinoso repulisti che cancellò le anomalie.
Al proletariato tedesco in camicia bruna il Führer avrebbe in seguito offerto un illusorio benessere – a spese altrui – nell’Europa orientale, ma questa è decisamente un’altra storia. Ci si può chiedere – e già la domanda scandalizzerà i benpensanti – se i due fratelli Strasser (Otto scappò e riuscì a salvarsi) possano essere considerati dei “socialisti”, per quanto atipici. Hitler li riteneva tali, a chi scrive paiono piuttosto i prototipi di un “rossobrunismo” che, in quanto fenomeno storico, andrebbe studiato con spassionata attenzione anziché maledetto. Può dispiacere, ma un nazismo (e un fascismo) anticapitalista – e perciò “di sinistra” – è realmente esistito.