Il giorno prima del massacro Atahualpa, acquartierato col suo esercito presso Cajamarca, riceve la visita inattesa – e all’apparenza amichevole – di un drappello di cavalieri spagnoli mandati in avanscoperta. A capitanarli è l’esperto Hernando de Soto, il quale si esibisce in esercizi di destrezza a cavallo che intimoriscono un battaglione di soldati peruviani, facendoli retrocedere (saranno per questo crudelmente puniti), ma paiono non impressionare il Sapa Inca, che rimane imperturbabile. A nome del “governatore” Pizarro l’emissario invita insistentemente Atahualpa a un incontro ufficiale, progettato per l’indomani nel centro cittadino, e dopo qualche titubanza il sovrano accetta.
Cosa gli passa per la mente? Forse che oramai la sua fisionomia è nota agli stranieri e che non potrà dunque inviare in sua vece un sosia; gli balena magari il sospetto che quegli strani quadrupedi possano essere impiegati anche per usi bellici e non soltanto per il trasporto di “uomini troppo deboli per camminare” (era stata questa l’ottimistica conclusione dei suoi informatori). Non sembra entusiasta dell’idea di scendere a Cajamarca, ma neppure si mostra recalcitrante: non vuol dare l’impressione di essere impaurito, e in effetti di paura non ne ha.
Eccesso di sicurezza? Benché sia considerato un dio vivente e si comporti di conseguenza sa bene che il suo corpo è mortale e nient’affatto invulnerabile: stando a un cronista egli era solito farsi acconciare i capelli in modo da nascondere una mutilazione a un orecchio infertagli dai seguaci di Huascar. In campo militare non è uno sprovveduto – in gioventù si è illustrato come guerriero e comandante agli ordini di Huayna Capac – ma le fonti contemporanee non ce lo presentano come un amante del rischio: nella guerra civile si è tenuto ben lontano dalla prima linea, preferendo affidare la guida delle truppe a generali di provata fedeltà e competenza.
Essendo prudente per natura si aspetta che i nuovi venuti, pochi come sono, si comportino come farebbe lui al loro posto (cioè col rispetto dovuto al più forte) e conta verosimilmente di intimidirli con la magnificenza del suo seguito e il gran numero di uomini in armi schierati appena fuori dalle mura. Più che intimiditi i conquistadores sono in realtà spaventati, e per questo decidono di giocare il tutto per tutto con un colpo di mano che riuscirà loro alla perfezione: non ci sarà neppure un caduto tra le file europee. A quanto ci raccontano l’unico ferito è proprio Francisco Pizarro, che si è frapposto tra Atahualpa e uno spagnolo ebbro di sangue: al futuro governatore l’Inca serve vivo, almeno per il momento – tenere in ostaggio l’imperatore gli garantisce da un lato la paralisi dei vassalli, dall’altro l’oro che brama.
Durante la strage dei suoi Atahualpa non ha espresso emozioni, ma ha di certo maledetto la propria avventatezza: sa di aver messo quelli che si sono ormai palesati come nemici in una posizione di forza, rendendoli di fatto padroni del suo vasto impero. Realizza che, per quanto non ancora persa, la partita è compromessa: prova tuttavia a riaprirla, ricorrendo alle proprie risorse anzitutto intellettuali. Gli è chiaro che gli stranieri sono bramosi di ricchezza: offre loro un riscatto principesco, facendo riempire una sala di oggetti preziosi e straordinari che – per sventura dei posteri – verranno fusi e trasformati in lingotti.
Sembra una mossa ingenua, ma non lo è: contemporaneamente, deposta la sua albagia, inizia a rapportarsi amichevolmente con alcuni dei carcerieri, intrattenendosi con loro in privato. Lo scopo è quello di suscitare rivalità fra gli invasori, tutti egualmente avidi e interessati a mettere le mani sull’oro del Perù. Nei confronti dei sudditi mantiene invece il suo atteggiamento di superiorità, come fossa ancora saldamente sul trono: ordina, minaccia e punisce – e nessuno osa contraddirlo. Per compiacere i conquistadores chiama presso di sé il generale Chalcuchima, che al comando di un’armata avanza per liberarlo: il condottiero obbedisce, si umilia dinanzi all’Inca e finisce anche lui prigioniero (morirà bene, maledicendo i suoi assassini e invocando la vendetta di Viracocha e Quizquiz).
Non è solo tattica: Atahualpa dimostra a tratti sincero interesse per i costumi, le idee e le abitudini dei nuovi arrivati. Apprende i fondamenti della loro lingua (impresa difficilissima per un “indiano”!) e si appassiona al gioco degli scacchi, vincendo – secondo le testimonianze – numerose partite. Tra gli avversari non c’era di sicuro un Kasparov, e può darsi qualcuno (per puro calcolo) si sia lasciato battere, ma la notazione è significativa: l’Inca non è pregiudizialmente ostile alle novità, anzi, ed è senza dubbio molto intelligente. Non è stata solamente la sottovalutazione del pericolo a condurlo nella piazza di Cajamarca, anche la curiosità intellettuale ha giocato un ruolo.
Purtroppo per lui gli invasori sono estremamente pragmatici e, pur non disprezzandolo affatto, intendono che la docilità dell’ostaggio è strumentale e che l’arguzia e l’attitudine ad apprendere che notano in lui costituiscono semmai una minaccia. Si è reso utile riempiendoli d’oro ed argento, ma non è il sovrano fantoccio di cui hanno bisogno per acquietare il paese aspettando rinforzi: percepiscono che, una volta libero, Atahualpa scatenerà contro di loro le forze combinate dell’impero, annientandoli. In fondo non può che odiarli per l’oltraggio subito – e allora Pizarro e i suoi complici inventano accuse grottesche per imbastire una farsa di processo (avranno molti emuli, anche nel XXI secolo).
Finisce male, convertendosi al cristianesimo per evitare il rogo – ma soprattutto si rende responsabile del disfacimento di Tahuantinsuyu. I generali superstiti proveranno a riaccendere la lotta, ma la loro autorità deriva dal Sapa Inca e – morto lui – l’ascendente sulle truppe si indebolisce e lo scoramento dilaga. Dopo averlo scacciato da Cuzco – che, rammentiamolo, occupava da nemico – gli spagnoli tentano a più riprese di sbarazzarsi di Quizquiz, ma l’anziano comandante dà loro filo da torcere.
Gli Incas non hanno mai brillato per inventiva militare (usano più o meno le stesse armi che oltre mille anni prima adoperavano i Moche della costa settentrionale), tuttavia Quizquiz rivela un inaspettato talento escogitando efficaci rimedi contro gli assalti della cavalleria e in un’occasione giocando abilmente i suoi assalitori. Non ha però un re che gli “copra le spalle” e quando – resosi conto che l’esercito di cui dispone è numericamente insufficiente per una dispendiosa ma promettente battaglia risolutiva – opta per rifugiarsi nella selva ed affidarsi ad azioni di guerriglia i suoi ufficiali insorgono e lo uccidono a colpi di mazza. Quos vult Iupiter perdere dementat prius…
Pochi anni dopo il sagace, coraggioso e sfortunato Inca Manco riprenderà le armi, arrivando ad assediare Cuzco e a infliggere qualche sconfitta agli spagnoli, ma il numero degli stranieri si sarà nel frattempo moltiplicato a dismisura per il continuo afflusso di avventurieri da penisola iberica e America centrale: l’ultimo ridotto incaico, Vilcabamba, cadrà negli anni settanta del ‘500.
Atahualpa credeva di avere di fronte una manciata di disperati: gli spagnoli lo erano ma, a differenza sua, non avevano nulla da perdere – e vinsero tutto, salvo poi massacrarsi fra loro. Sulle rovine dei palazzi e dei templi sorsero a Cuzco basiliche cristiane, ma ad affrescarne le volte furono artisti nativi che diedero ai santi le fattezze delle proprie divinità, ancora adorate in segreto.