Inascoltate dall’avida classe proprietaria le perorazioni di Owen hanno fatto però breccia nel proletariato inglese, che lo rispetta per la sua integrità e l’indiscussa coerenza. Se mai lo è stato il gallese non è più un uomo ricco, ma le masse guardano a lui con fiducia poiché – a differenza di altri precursori del socialismo, che gli isolani chiameranno a lungo “owenismo” – non si è limitato a enunciare teorie.
Gli anni Venti dell’Ottocento segnano un risveglio della coscienza popolare: rimossi i divieti legali sorgono i primi sindacati di settore, composti per lo più da operai specializzati eredi dei maestri artigiani, e si mettono in luce leader combattivi come John Doherty. Di alcuni di questi sindacalisti ci sono rimasti i ritratti fotografici: sono povera gente, ma i loro volti irradiano fierezza e dignità, che traspaiono anche dagli indumenti che indossano – se uno volesse figurarseli pensi a un Jeremy Corbyn in bianco e nero.
Inizia a diffondersi anche una stampa radicaleggiante, animata da appassionati agitatori come Bronterre O’Brien e Feargus O’Connor (entrambi irlandesi, al pari di Doherty). Quest’embrione di organizzazione proletaria tenta la via dell’alleanza con la borghesia liberale e “progressista”, ma alla prova dei fatti resta a mani vuote: le condizioni di vita e di lavoro non migliorano. E’ tempo di unirsi più strettamente per dar forza alle proprie rivendicazioni, ma serve una guida riconoscibile e rispettata.
Robert Owen è il candidato perfetto. Più il tempo passa e più le sue opinioni suscitano scandalo tra i benpensanti: indignano la sua ripulsa del matrimonio (benché sia un marito fedele e un padre esemplare), della religione e soprattutto della proprietà privata. Tra i c.d. utopisti dell’epoca (Fourier, Saint-Simon ecc.) è senza dubbio il più “antisistema” – oltre ad essere di gran lunga il più attivo e influente.
Dinanzi all’offerta fattagli tuttavia tentenna. Possiamo presumere che le ragioni siano molteplici: da un lato Owen è maggiormente incline per indole a far opera di persuasione che allo scontro frontale, dall’altro si rende senz’altro conto che il fronte opposto è compatto e pieno di risorse, potendo contare anche sulla complicità di chi detiene l’uso della forza – quello stesso Stato che, nei due secoli precedenti, aveva favorito con leggi inique e disumane (si pensi alle famigerate Poor Laws, che trattavano la miseria alla stregua di un delitto) l’accumulazione primaria del Capitale.
Owen alla fine scioglie la riserva, e dinanzi al Parlamento degli Edili (1834) espone il suo progetto di superamento del capitalismo: associandosi in cooperative i lavoratori potranno avviare la produzione di beni e servizi da offrire sul “mercato” a prezzi più bassi di quelli praticati dagli imprenditori privati. Assieme alla povertà spariranno profitto, sfruttamento e ricchezza. Leggendo tanti anni fa il libro di G. D. Cole immaginai la scena: un’ampia sala fumosa, seggi o forse panche di legno, il genuino entusiasmo di uomini invecchiati anzitempo con indosso i loro abiti migliori.
Nel 1834 vede così la luce il Grande Sindacato Unificato, ma come presagito da Robert la reazione dell’establishment è immediata e rabbiosa: serrata a tempo indeterminato! Ben organizzati e decisi a tutto i lavoratori tengono duro: presidiano le fabbriche, creano ed alimentano fondi di resistenza per sostenere i compagni in maggiore difficoltà, si impegnano allo spasimo nell’autoproduzione.
La lotta però è impari: dopo mesi di eroica resistenza e vessazioni poliziesche gli scioperanti, prostrati, devono arrendersi allo strapotere avversario. L’epopea del Grande Sindacato Unificato si consuma in una stagione: l’organizzazione viene sciolta e Robert Owen abbandona il campo affranto, ma a testa alta. Non parteciperà più alla vita pubblica.
Negli ultimi decenni prova a gettare le basi di una religione razionale che possa soppiantare le “sette” (cioè tutte le chiese) garanti del privilegio e delle divisioni sociali; infine, ormai vecchio e squattrinato, si ritira nella sua Newtown per morirvi in una sera di metà novembre del 1858. E’ sepolto nel cimitero della chiesa di St. Mary, a poca distanza dal museo che gli è stato poi dedicato.
Il sogno durato una vita di una Nuova Società egualitaria non si spegne tuttavia con lui, perché non è stato sterile parto della fantasia ma impegno concreto: Owen fu un generoso anticipatore il quale, ad onta delle sconfitte patite, ha indicato il cammino che generazioni di emuli percorreranno con sicurezza – almeno fino agli anni ’80 del Novecento. Il suo lascito è immenso: sarà in primis dall’esperienza di New Lanark che il primo gabinetto laburista del secondo dopoguerra trarrà ispirazione per gettare le basi dello Stato sociale britannico.
Anche il mondo della cooperazione deve molto a Robert Owen: ispirati da lui e suoi fedeli seguaci saranno quei “pionieri di Rochdale” che nel 1844 fonderanno la prima società cooperativa di consumo sul suolo inglese. Il fatto che col passare dei decenni quell’idea rivoluzionaria e salvifica si sia degradata a prassi discutibile – e sovente immorale – dipende non dalla fallacia del progetto originario, bensì dall’ingordigia degli esseri umani, corrotti dall’ideologia del successo economico come misura di tutte le cose.
Friedrich Engels lo ricorda così: “Apparve allora come riformatore un industriale ventinovenne, un uomo dal carattere di fanciullo, semplice fino al sublime e ad un tempo dirigente nato come pochi. Robert Owen aveva fatto sua la dottrina dei materialisti dell’Illuminismo, secondo la quale il carattere dell’uomo è, da una parte, il prodotto dell’organizzazione in cui nasce e, dall’altra, delle circostanze che lo circondano durante la sua vita e specialmente durante il periodo del suo sviluppo. (…) Ogni movimento sociale ed ogni reale progresso in Inghilterra da parte dei lavoratori è legato al nome di Robert Owen”.
La statua bronzea del filantropo socialista, eretta nel cuore della sua Newtown, lo raffigura in piedi, avvolto in un mantello, mentre carezza con la destra il capo di un fanciullo accucciato e intento a giocare. Pietro Nenni soleva dire che il Socialismo è umano oppure non è Socialismo: anche questa è una lezione appresa da Robert Owen, che la impartì nell’arco di una lunga e operosa esistenza con il suo agire quotidiano.