Se i primi anni di Weimar furono particolarmente burrascosi, gli anni successivi – mi riferisco al periodo che va dal 1924 al 1929 – sono unanimemente considerati quelli d’oro della Repubblica anche se la stabilità, più apparente che reale, conteneva in sé i prodromi del futuro crollo.
In questa fase, Gustav Stresemann, figura politica di spicco del mondo conservatore tedesco nonché ministro degli esteri dal 1923 al 1929, era deciso a portare avanti una percorso di avvicinamento alla Francia e a riconsegnare alla Germania un ruolo centrale nello scacchiere della politica internazionale. Il raggiungimento di questa fragile stabilità la si deve in primis ad alcuni accordi tra il governo tedesco e le potenze vincitrici della Grande Guerra. Il principale di questi fu il Piano Dawes, che rimodulava i pagamenti annuali delle riparazioni di guerra e il loro importo. Di fatto, però, questo piano metteva le finanze dello stato tedesco sotto lo stretto controllo di un esperto in questioni finanziarie, l’americano Parker Gilbert. Il ruolo principale di Gilbert fu quello di assicurare la stabilità valutaria necessaria per rendere effettivi i pagamenti. Volessimo usare un’espressione in auge, potremmo dire che i tedeschi si piegarono alla logica del vincolo esterno.
Tutto questo ovviamente irritò le ali estreme del quadro politico tedesco: la destra parlava di “nuova schiavitù” mentre il Partito Comunista condannava il fatto che a pagare il prezzo più alto di questo piano sarebbe stato il proletariato.
Il piano, anche se con difficoltà, venne accettato dal Reichstag e fece sì, stabilizzando il quadro macroeconomico, che il denaro degli investitori, di fatto il capitale americano, affluisse copioso nel sistema economico tedesco. Come vedremo, questa fu una delle concause che qualche anno dopo portarono ad una forte crisi economica, preludio della futura crisi politica.
Ma come mai parliamo di apparente stabilità? Perché si basava solo sul quadro macroeconomico, mentre a livello microeconomico la situazione non era poi così rosea. Uno dei successi della Repubblica fu certamente la riduzione dell’orario di lavoro ad 8 ore, ma a fianco di tale riforma vennero introdotte altre manovre ben poco popolari: la pubblica amministrazione fu colpita da massicci tagli di posti di lavoro, i processi di razionalizzazione e concentrazione nel settore industriale infragilirono numerose piccole e medie imprese con la conseguenza diretta di altri tagli di personale questa volta nel settore privato, infine, i risparmiatori e i creditori danneggiati dall’inflazione rimasero senza alcun risarcimento significativo.
Nel 1927, durante il breve boom della ripresa macroeconomica, venne introdotta l’assicurazione contro la disoccupazione, per alcuni aspetti il culmine dell’espansione dello stato sociale della repubblica. Essa, però, garantiva una parte limitata del mondo del lavoro ed inoltre non copriva la disoccupazione di lunga durata.
I problemi sociali, di fatto irrisolti, erano in gran parte dovuti alla frammentazione di un mondo politico che non riusciva a trovare ragionevoli compromessi per elaborare collegialmente delle riforme a più ampio respiro.
Com’era la vita e la società in questo periodo? Cercherò di spiegarlo nel prossimo articolo.