Il 1933 si aprì con la crisi conclamata del gabinetto Schleicher. Tutti i tentativi fatti dal cancelliere per trovare una maggioranza fallirono ed Hindenburg alla fine fu costretto a trovare un accordo con Hitler per avviare un nuovo governo. Un governo che, nell’intento del vecchio Presidente, sarebbe dovuto essere gestito e composto principalmente dai conservatori e vedere i nazisti sullo sfondo, nonostante la cancelleria occupata da Hitler.
Papen, l’artefice dell’accordo, aveva rassicurato Hindenburg sulle capacità della vecchia dirigenza politica di tenere sotto controllo il partito nazista e i suoi obiettivi. Hitler accettò questo compromesso perché lo avrebbe fatto accedere alle stanze del potere e, conseguentemente, avrebbe potuto utilizzare le leve dell’esecutivo per consolidare la propria posizione.
Il 30 gennaio 1933 ci fu il giuramento del nuovo governo, che il giorno seguente indisse nuove elezioni per il 5 marzo. Iniziarono immediatamente le persecuzioni verso le opposizioni.: le riunioni dei partiti di sinistra furono bandite e diversi membri delle formazioni moderare vennero pesantemente minacciati.
Un evento che avrebbe segnato nell’immaginario collettivo l’ascesa al potere dei nazisti fu senz’altro l’incendio del Reichstag, avvenuto il 27 febbraio del ’33. I colpevoli furono subito individuati tra i comunisti e venne immediatamente promulgato il “decreto dell’incendio del Reichstag”, che sospese gran parte dei diritti civili e servì soprattutto per ottenere l’arresto dei politici di spicco della sinistra, prima dell’imminente ritorno alle urne.
I risultati delle ultime elezioni “libere”, svoltesi in una pesante clima di violenza e intimidazione, videro i seguenti risultati: Hitler raggiunse il 43,9% dei consensi, i socialdemocartici rimasero il più grande partito di opposizione con il 18,3%, i comunisti ottennero il 12,3%, il Zentrum l’11,2% e a seguire i rimanenti partiti conservatori. Come si vede, nonostante tutto, i nazisti non centrarono l’obiettivo della maggioranza assoluta dei suffragi e le sinistre mantenevano quasi un terzo dell’elettorato.
Hitler aveva raggiunto il suo scopo con la nomina a cancelliere, ma rimaneva ancora una cosetta da fare: ottenere la totale indipendenza dell’esecutivo rispetto al potere legislativo. Per realizzare ciò, sarebbe dovuta passare una modifica costituzionale ottenibile solo con una legge votata dai due terzi dei parlamentari.
Per raggiungere questo risultato, su consiglio dei suoi alleati conservatori, procedette con ulteriori arresti ai danni dei deputati socialdemocratici rimasti e convinse, anche con metodi brutali, la dirigenza del Zentrum cattolico a votare per il “decreto dei pieni poteri”, ovvero, per la legge con cui avrebbe emendato la Costituzione. Questo decreto, formalmente non intaccando le prerogative del Reichstag, avrebbe dato la possibilità al governo di emanare provvedimenti immediatamente operativi.
La Repubblica di Weimar con quest’ultimo atto moriva definitivamente dopo soli 14 anni, e finivano pure tutte le speranze di libertà e di progresso che essa portava con se.