Clima, trattati e cambiamenti climatici

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I Trattati di libero commercio sono compatibili con la lotta al Cambiamento Climatico?

I Trattati, stipulati già o in corso di attivazione, promuovono il commercio ma con una scarsa considerazione delle conseguenze ambientali. Come Comitato Stop TTIP più volte abbiamo denunciato che la scelta dell’UE di promuovere Trattati di Libero commercio con mezzo mondo corrisponde ad una politica tesa ad aumentare i profitti delle Multinazionali, veri centri di potere che condizionano la politica degli Stati con gravi deregolamentazioni sui diritti dei cittadini e in particolare con scarsa considerazione per i cambiamenti climatici

Quali sono gli strumenti di cui si servono i Trattati?

Tra gli strumenti usati nei Trattati, come più volte rilevato nei nostri interventi, registriamo l’eliminazione del principio di precauzione, principio che permette di controllare a monte ogni prodotto che entra in UE, e l’istituzione dei Tribunali arbitrali, i nefasti tribunali, una sorta di giustizia parallela creata per tutelare i profitti di chi investe nelle società multinazionali. Il rischio che corriamo è quello di forti danni all’ambiente e al clima: una deregulation totale.

Per capire meglio la funzione dei Tribunali arbitrali, possiamo citare un caso collegato all’energia fossile, che grazie ai Trattati di libero commercio verrà, senza alcun  limite,  importata in UE.

Nel 2015 il gigante dell’energia canadese TRANSCANADA ha citato presso un Tribunale arbitrale, per un danno di 15 miliardi di dollari, il Governo statunitense sotto l’ombrello del NAFTA (Trattato tra USA, Canada e Messico) per la decisione americana di sospendere la costruzione dell’oleodotto Keystone XL che avrebbe trasportato il petrolio estratto da scisti bituminose canadesi fino in Texas. La multinazionale si riteneva danneggiata e ha citato gli USA. La questione della citazione in giudizio è stata poi sistemata da Trump che ha realizzato l’oleodotto e accontentato pienamente l’investitore.

Libero commercio o lotta al cambiamento climatico? 

Per rendere ancor più concreta la relazione tra libero commercio e lotta ai cambiamenti climatici, esaminiamo alcuni passaggi del CETA (Trattato di libero commercio tra UE e Canada) e del Mercosur (Trattato della UE con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay).

 Sia il Ceta che il Mercosur intendono promuovere il commercio di beni e servizi con poca attenzione per le ricadute sul cambiamento climatico con l’aumento sia dei trasporti a lunga distanza, sia del volume delle merci. Ceta e Mercosur, inoltre, appoggiano un’agricoltura industriale, quella dell’agrobusiness, con uso incontrollato di Ogm e pesticidi.

Nello specifico, il CETA, nel capitolo riguardante gli appalti pubblici, articolo 19.9.9, promette il rispetto delle “caratteristiche ambientali” tra i criteri di valutazione per concedere gli appalti, ma in modo contraddittorio nell’articolo 19.14.5 prevede che possa essere aggiudicato un appalto al fornitore che ha proposto “il contratto più vantaggioso”, non considerando più le eventuali conseguenze sul clima e agevolando innanzitutto i profitti delle lobby.

Sempre il CETA indebolisce la Direttiva sui combustibili fossili (progettata per ridurre del 6% le emissioni di CO2) e favorisce le importazioni  del petrolio estratto in Canada da scisti bituminose con emissioni climalteranti del 23% più alte rispetto a quelle del petrolio convenzionale (secondo lo studio affidato dalla Commissione europea alla Stanford University); come se ciò non bastasse, è stata organizzata  una campagna di pressione per smentire questi dati  dallo stesso Governo canadese, unitamente a BP e Shell. Risultato: dal testo del CETA è stata esclusa la richiesta di pubblicare l’origine del combustibile.

Per quanto riguarda il Mercosur, possiamo ribadire la schizofrenia delle diverse parti del testo che prevede, nel capitolo sullo Sviluppo sostenibile, il rispetto delle Convenzioni internazionali su CLIMA, tutela della biodiversità e delle specie animali, ma nello stesso tempo agevola l’agrobusiness della soia e della carne bovina, il tutto senza prevedere sanzioni.

Ricordiamo a questo proposito tutti i forti interessi che stanno a monte dei roghi in Amazzonia con un deciso aumento in questi primi sei mesi dell’anno, (ad oggi sono oltre 75 mila, il doppio di quelli registrati nello stesso periodo del 2018). Si è arrivati alla distruzione di oltre 225 mila ettari di foresta, oltre il doppio dell’anno precedente. Soltanto nel maggio del 2019, in 31 giorni, sono stati persi 739 km quadrati di foresta, un’area corrispondente a due campi di calcio al minuto. Tutto terreno liberato per l’allevamento, con la potente lobby agricola del Brasile, felicissima di fronte alla prospettiva di aumento delle esportazioni agroalimentari di carne e soia in UE e in Cina (quest’ultima, infatti, cerca di diversificare le sue enormi importazioni di soia, evitando l’acquisto dagli USA con cui ha ingaggiato una guerra commerciale). Una lobby che sente di poter agire nella piena impunità, dal momento che il presidente Bolsonaro l’ha favorita con una progressiva rimozione delle regolamentazioni ambientali in Brasile. Nonostante la Commissione Europea si ostini a sostenere l’accordo Mercosur, definendolo come uno strumento che rinforza l’Accordo di Parigi sul clima, Paesi come l’Irlanda, l’Austria e la Francia hanno espresso con atti pubblici la loro opposizione. Ad oggi, però, dalle stanze di Bruxelles ciò che filtra è solamente un potenziale bando all’importazione di carne brasiliana.

E, per concludere, dobbiamo presentarvi un altro tra i mille casi di relazioni significative tra gli interessi delle Multinazionali, pronte ad attaccare il cuore degli Stati, e la mancata difesa del clima in una logica di neoliberismo senza regole, avvallato dai Trattati di Libero commercio.

Nel novembre 2018, la Westmoreland, multinazionale statunitense, ha intentato una causa di 500 milioni di dollari al Canada. Il Canada aveva lanciato un programma di eliminazione del carbone come fonte energetica nell’Alberta, per orientare, invece, la regione verso una forma di produzione elettrica entro il 2030. È scattata, perciò, una clausola sotto l’ombrello ISDS o ICS, i Tribunali arbitrali previsti dal Nafta (Trattato USA, Canada, Messico): la Westmoreland ha citato in giudizio il Canada, la causa è ancora in corso.

È un paradosso evidente… Canada citato in giudizio sulla base del Nafta e noi europei rischiamo, se venisse ratificato dai 28 Stati europei il Ceta (trattato Ue-Canada), di essere citati in giudizio se attiviamo politiche di lotta al cambiamento climatico?

A cura del Comitato Stop TTIP di Udine, 12 dicembre 2019 stopttipud@gmail.com

Fonte delle informazioni Campagna StopTTIP Italia, stop-ttip-italia.net