La fama militare di Gneo Pompeo, idolatrato finché era in vita dai romani e paragonato addirittura ad Alessandro il Grande, è andata scemando con il passare dei secoli: durissimo è il giudizio espresso sull’uomo da Karl Marx in una lettera a Engels (“un vero cacasotto, assurto a fama usurpata solo per aver rubato con una specie di gioco di prestigio i successi prima di Lucullo contro Mitridate, poi di Sertorio in Spagna [sic!], infine come young man di Silla”) e anche il celebre storico Mommsen, pur riconoscendogli obtorto collo “una grande avvedutezza militare”, gli imputa mancanza di sicurezza e di iniziativa nella condotta delle operazioni belliche per tracciare infine un paragone impietoso con il geniale (e dilettissimo) Cesare.
Pompeo un sopravvalutato, insomma: possiamo davvero considerarlo tale? Che fosse un predestinato alla gloria è perlomeno dubbio: figlio di un console detestato per la sua crudeltà non apparteneva tuttavia al “generone” dell’Urbe di allora. La famiglia proveniva dal Piceno e “vantava” – si fa per dire – origini etrusche se non addirittura galliche, suggerite dalla fisionomia effigiata in un suo busto scultoreo. Perito il padre in guerra, il giovanissimo Gneo arruola a proprie spese un piccolo esercito e, schieratosi prontamente con Silla nel conflitto civile, ottiene alcune brillanti – ancorché non risolutive – vittorie sugli inetti generali mariani.
L’esito del bellum civile si decide a Porta Collina, cioè a Roma, dove Crasso massacra i valorosi Sanniti, ma sarà Pompeo a ripulire la Sicilia e l’Africa dalle ultime sacche di resistenza – la messa a morte, dopo un processo-farsa, del capo della fazione democratica Papirio Carbone gli frutterà il poco lusinghiero epiteto di “carnefice ragazzino”. Dopo qualche titubanza Silla concede a Gneo l’onore del trionfo e non fa mistero di preferirlo a Marco Licinio Crasso, che pure ha dato un contributo di certo non inferiore alla sua vittoria.
Strano, perché dei due sembra proprio Pompeo quello maggiormente ambizioso, oltre che il prediletto dalle masse. Non credo che l’istinto altrimenti infallibile del Dictator, capace di percepire la “pericolosità” di un Giulio Cesare ventenne, abbia fatto stavolta cilecca: ottimo conoscitore dell’animo umano, Silla teme maggiormente l’impenetrabilità del Dives, un calcolatore avvezzo a tramare nell’ombra, rispetto alla giovanile esuberanza del rampollo di Strabone – uno che vuole “arrivare”, ma senza sapere dove. Questa irresolutezza del carattere di Pompeo si paleserà appieno nei decenni successivi, quando si tratterà di lottare per i “pieni poteri”: al momento emergono le doti militari non comuni e l’innata capacità di cattivarsi l’affetto delle folle.
Pompeo non deve sforzarsi troppo per farsi amare: è un uomo avvenente, dalla carnagione e i capelli chiari – il suo viso ricorda ai romani quello di Alessandro Magno, ed egli accentua la presunta somiglianza acconciando la folta capigliatura sul modello dell’antico eroe. E’ vanitoso, ma privo di sussiego e alla mano, ed esibisce quella che oggi definiremmo “una faccia simpatica”: quando si ammalerà gravemente le preghiere di concittadini e italici per una pronta guarigione saranno sincere.
La sua carriera procede senza passi falsi: morto Silla, nel 78 a.C. Pompeo doma senza troppa difficoltà la ribellione del console Lepido, passato dalla parte dei populares. Finisce in realtà un lavoro iniziato da altri (e contro un condottiero piuttosto sprovveduto), ma le acclamazioni si moltiplicano: Roma è ancora una volta salva! Il comando affidatogli un paio d’anni dopo è senz’altro prestigioso, ma decisamente impegnativo: si tratta di riconquistare la Spagna, dove il più abile fra i seguaci del vecchio Caio Mario – Quinto Sertorio – ha edificato una Res publica parallela, con un Senato composto da autoctoni e ispirata ai principi democratici.
Questa volta a contendere il campo a Pompeo non è un duce improvvisato, bensì un eccellente tattico, rapido nei movimenti e ricco d’inventiva. Sertorio ha forze numericamente e qualitativamente inferiori a quelle di cui dispone il rivale, ma conosce a menadito il terreno ed è un capo carismatico, amato dagli iberici, il suo nuovo popolo: sottovalutato da Pompeo lo umilia, battendolo nettamente in alcuni scontri.
Purtroppo per il mariano i suoi sottoposti sono della stessa pasta di un Carbone e si fanno ripetutamente sconfiggere da Gneo e dal sorprendente Metello Pio, che avanzano pian piano nella penisola stringendo il cerchio intorno a Sertorio il quale, ancora invitto, viene ucciso a tradimento dal luogotenente Marco Perperna. Oltre che un farabutto Perperna si rivela un incapace: alla testa di truppe demotivate va incontro alla disfatta e alla morte.
Dall’esperienza spagnola Pompeo ha imparato molto: specialmente ad essere prudente – assecondando peraltro la sua indole – e ad attaccare battaglia solo quando è certo della propria superiorità. In sintesi: non lascerà mai più nulla al caso. Tornato in Italia si imbatterà nei rimasugli dell’armata di Spartaco distrutta da Crasso: annienterà i fuggitivi, ottenendo un surplus di facile gloria e scippando il meritato trionfo al Dives. Ancora una volta è stato fortunato, giungendo al momento giusto per dare il colpo di grazia a un nemico in rotta.
(La seconda parte verrà pubblicata sabato 3 aprile)