Come scritto nel precedente articolo, oggi andremo ad analizzare un’ altra unità di misura utilizzata in astronomia: Il Parsec. Il Parsec (abbreviazione pc) è una unità di misura utilizzata per indicare la distanza fra oggetti celesti. Il pc, equivalente a 3.26 anni luce, ed il suo multiplo KiloParsec (Kpc, pari a 1000 pc) sono utilizzati per esprimere le distanze tra oggetti ubicati nella nostra galassia, mentre l’altro multiplo, il Mpc (MegaParsec, equivalente a 3.260.000 anni luce) è invece normalmente utilizzato per esprimere le distanze intergalattiche. Il termine Parsec è l’abbreviazione di parallasse al secondo. La parallasse rappresenta una misura angolare ed infatti si esprime in gradi e nei suoi sottomultipli; nel nostro caso, con il summenzionato termine secondo, si intende infatti il secondo d’arco. La parallasse, o più specificatamente, la parallasse annua, è l’angolo formato tra la retta che congiunge l’oggetto celeste con la Terra con quella che congiunge l’oggetto con il sole.
L’angolo di parallasse è rilevabile osservando un corpo celeste dalla Terra durante l’anno. Un corpo celeste osservato dalla Terra assumerà posizioni diverse (rispetto allo sfondo delle “stelle fisse”) a seconda di dove essa si trovi nel corso del suo moto di rivoluzione attorno al sole. Appare chiaro che questa differenza sarà massima se prendiamo in considerazione le due posizioni più distanti assunte dal nostro pianeta nel corso della sua orbita annuale intorno al sole, cioè quelle che risultano diametralmente opposte rispetto ad esso e che distano, in termini temporali, sei mesi l’una dall’altra (per esempio le posizioni assunte nei solstizi). Determinato l’angolo di parallasse e conoscendo la distanza Terra-sole (1 UA, circa 150.000.000 di km), la distanza del corpo celeste può quindi essere determinata con un semplice calcolo trigonometrico. Orbene, un oggetto celeste che esprima una parallasse di un secondo d’arco si trova esattamente alla distanza di 3.26 anni luce dalla Terra (ovvero dal Sole, vista la trascurabile distanza, in termini astronomici, tra la Terra e la sua stella). Il metodo della parallasse trigonometrica è un metodo antico ed affidabile per misurare le distanze stellari ma, come è facile intuire (considerando che la stella a noi più vicina, che è a circa 4 anni luce dalla Terra, ha una parallasse già inferiore ad un secondo d’arco), perde di efficacia nel caso di oggetti molto distanti.
Se ben ricordate, nell’articolo precedente ho accennato ad un altro metodo di calcolo per le distanze, ovvero le relazioni di scala. Nell’universo sembrano esistere due grandi categorie di galassie: spirali ed ellittiche. Le spirali sono galassie a disco in cui le stelle mostrano una rotazione attorno al centro del disco, le ellittiche, invece, presentano un moto casuale delle stelle. La situazione è leggermente più complicata, ma ora non facciamoci caso e concentriamoci sul fatto che gli astronomi Tully e Fisher per le spirali e Faber e Jackson per ellittiche hanno trovato una relazione empirica (supportata poi anche dalla teoria) che lega la luminosità assoluta della galassia alla velocità delle stelle. Dal momento che la velocità delle stelle si può misurare indipendentemente dalla distanza, ecco che abbiamo un altro stimatore della distanza, stavolta delle galassie!
I metodi elencati fin qui non sono indipendenti, in quanto non tutti si possono usare per le diverse distanze. Dunque, misurando bene la parallasse delle Cefeidi della nostra galassia possiamo calibrare bene la relazione periodo-luminosità, indipendentemente dalla distanza, e poi usare tale relazione applicata alle Cefeidi di altre galassie per stimare la distanza. Lo stesso procedimento è idoneo per calibrare ad esempio le Supernovae. Insomma, è come una scala in cui si tenta pian piano di arrivare al piolo più in alto, ammesso che esista, ovviamente.
Ultima osservazione: perché è così importante misurare le distanze in cosmologia? Ovviamente, non lo si fa per perdere tempo, nè per puro divertimento. In realtà, i modelli teorici prevedono particolari modelli per le distanze e per le grandezze ad essa collegate; quindi, misurando tali distanze si può capire quale sia il modello cosmologico più conforme all’universo che osserviamo.