Si registra uno strano fermento per le vie di Udine. Se nelle ultime settimane è stato possibile assistere alle allegre manifestazioni di chi contesta il sicuramente criticabile green pass al grido di “libbertà libbertà”, altre realtà si stanno facendo sentire. Se volessimo citare Edoardo Sanguineti nel suo breve saggio, regalo per il compleanno di Pietro Ingrao, “Come si diventa materialisti storici?”, potremmo dire che ci sono persone che stanno tentando “di fare qualcosa. Non (parlano) perché voglio comunicare delle idee, ma comunicare una proposta pratica, qualcosa di praticabile, qualcosa che (cercano) di praticare e che sottopongo ovviamente al (nostro) giudizio.”
È l’alzarsi di voci di giovanissimi studenti, piccoli comitati di quartiere e gruppi di cittadini sensibili al futuro della città pubblica: sono persone che vogliono superare l’isolamento sociale attraverso il fotogiornalismo di inchiesta, gli incontri letterari e musicali nei quartieri periferici, la sensibilizzazione sui temi internazionali del multiculturalismo che ci toccano da vicino. Diverse sono anche le proposte lanciate per la riqualificazione degli spazi pubblici ora abbandonati o male utilizzati.
Non dimentichiamoci poi che sul nostro territorio sia gli eventi in ambito artistico che i diversi festival, anche di alto valore artistico o comprovata autorevolezza culturale, non mancano. Come non mancano le molte espressioni dell’associazionismo, solide e ben radicate.
Per questo motivo la nuova ondata che si affaccia sul panorama politico e sociale della città avrà un senso solo se si porrà l’obiettivo di uscire dalla fase di reflusso che stiamo vivendo, solo se si dimostrerà assai insoddisfatta, del tutto, della tradizione che viene trasmessa da ormai due-tre generazioni pressoché aliene da soprassalti e insofferenze radicali e deciderà di esprimersi sondando e sperimentando, facendo saltare il tavolo dei giochi.
Raccogliendo le parole di Renata Morresi si può sintetizzare il discorso dicendo che tra tanti io parlanti e una comunità, chiamiamola, di dialogo, c’è oggi ancora un grande, vastissimo deserto.