Se niente importa, in originale Eating Animals, è il libro di Jonathan Safran Foer dove memoria e reportage si intrecciano per raccontare una storia. «Se niente importa, non c’è niente da salvare» è una frase, ripetuta più volte da una nonna troppo anziana e troppo provata dal ricordo della fame durante la guerra che richiama una certa visione di impegno e responsabilità traslata dai lager nazisti ai moderni mattatoi dove carni, grasso che cola e sofferenza animale alimentano un mercato di fast food e supermercati.
L’anziana ebrea racconta così la sua fuga.
“-Moltissime persone morirono proprio alla fine, e io non sapevo se avrei resistito un altro giorno. Un contadino, un russo, Dio lo benedica, vide in che stato ero, entrò in casa e ne uscì con un pezzo di carne per me.
-Ti salvò la vita.
-Non lo mangiai.
-Non lo mangiasti?
-Era maiale. Non ero disposta a mangiare maiale.
-Perché?
-Che vuol dire perché?
-Come? Perché non era kosher?
-Certo.
-Ma neppure per salvarti la vita?
-Se niente importa, non c’è niente da salvare.”
È fondante e fondamentale continuare a raccontare storie: raccontare, ricordare, tramandare dice Jonathan Safran Foer. Ma come farlo oggi quando sembra di partecipare ad un gioco senza vie d’uscita, a somma zero, dove è tutto troppo “complicato”? Quello che ci raccontano la maggioranza dei giocatori in campo è che, nella grande partita “Pianeta neoliberista” di questa ultima tornata elettorale, la percezione della tragedia dei nostri giorni proviene dallo stato di stanchezza della gran parte dei discorsi politici attuali, incapaci di portare a compimento il rapporto conflittuale col passato, di elaborare e approfondire cesure, non a ricucirle, non a risolverle. Abbiamo abbandonato ogni conflitto con la memoria e i buchi neri degli anni alle nostre spalle ottenendo in cambio una realtà dalla consistenza granitica che rende impossibilità qualsiasi fatto capace di aggredirla, trasformarla o anche solo sospenderla.
Vediamo che cosa ci raccontano i numeri delle ultime elezioni amministrative in Friuli Venezia Giulia: rinnovate 33 amministrazioni comunali, il centrodestra ha prevalso vincendo a mani basse quasi ovunque. Tra i quattro comuni sopra i quindicimila abitanti chiamati al voto, tre sono andati alla coalizione che oggi governa la regione, una all’opposizione. L’emblematica vittoria di Monfalcone al primo turno è quasi un plebiscito, permesso da sotterranei conflitti tra chi ha lanciato la sfida di un cambiamento reale su basi programmatiche concrete e chi invece ha difeso le proprie maggiormente rappresentative posizioni di rendita, anche a costo di mettere uno contro l’altro mondi che dovrebbero condividere le stesse battaglie.
Gorizia resta miracolosamente al centrodestra riconfermando in maniera risicata Rodolfo Ziberna per il suo secondo debole mandato. Azzano Decimo, Cervignano Casarsa della Delizia, Lignano e Tolmezzo cambiano bandiera mentre Fontanafredda, Prata di Pordenone, Cormons e Tarvisio non fanno difficoltà a rimanere così come sono stati fino a poche settimane fa. La vittoria di Codroipo, la statua bronzea del Monumento ai Caduti di via IV Novembre, monumento per celebrare il Centenario della fine della Grande Guerra, è il simbolo dell’unico dei dieci comuni della regione sopra i quindicimila residenti ancora amministrato da una coalizione a guida PD. A scendere, Duino-Aurisina, Ronchi dei Legionari e Maniago in salsa civica, mantengono il colore passato.
Alle 12 di domenica l’affluenza per il Comune di Gorizia era del 16,93% (5.094 votanti su 30.087 elettori), per quello di Codroipo del 16,77% (2.454 votanti su 14.632 elettori) e per quello di Azzano Decimo del 18,53% (2.615 votanti su 14.109 elettori), in linea con tutti gli altri centri in cui si è votato. A seggi chiusi le affluenze si sono consolidate sotto il 50% degli aventi diritto. Nelle vecchie scuole di partito si diceva prima il dovere poi il piacere per affermare che votare era un “dovere civico” come sancito dall’art.48 della Costituzione. Oggi prima si va al mare poi qualcuno va a votare. Questa non partecipazione al voto, impropriamente chiamata astensione, è certamente misurabile ma non può avere una connotazione politica definibile unidimensionalmente tra destra e sinistra; è difficile dire a quale coalizione sarebbero andati quei voti mancanti. Dobbiamo invece vedere la non partecipare alla votazione una forma di esercizio del diritto di voto su un piano bidimensionale socio-politico dove ormai niente importa. Non c’è nulla da salvare. Partite ormai classiche come “Blade runner”, “La strada”, “La grande cecità”, “The walking dead” (e molte altre) mostrano un mondo senza una vera salvezza: l’apocalisse è senza sbocchi, la catastrofe è già avvenuta. Amitav Ghosh che nel suo La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile (Neri Pozza, 2017) aveva scritto: “la crisi (climatica) è anche una crisi della cultura, e pertanto dell’immaginazione”, vede nella crisi della capacità di credere a qualcosa di lontano, un rifiuto di farsi coinvolgere.
È ora di voltare pagina per chiedere in maniera radicale giustizia sociale ed ecologica. L’utopia necessaria non è quindi una pianta infestante dell’irreale bensì un valore positivo inteso come obiettivo politico realizzabile da tutti coloro che sentono la necessità di attuare dei cambiamenti nel modo di sentire, di percepire e di conoscere: un agire collettivo per rompere le identiche logiche degli attuali schieramenti in campo per ritornare a privilegiare il bene pubblico e gli interessi comuni.