Il Friuli Venezia Giulia ritorna in zona rossa. Dopo la sesta settimana consecutiva nella quale si è riportato un peggioramento nel livello generale del rischio epidemico, il passaggio è avvenuto.
Il monitoraggio settimanale dell’Istituto Superiore della Sanità non lascia dubbi: incidenza per centomila abitanti negli ultimi sette giorni oltre quota 260, nuovi casi segnalati nella settimana oltre il valore di 3200, focolai e nuovi casi in aumento, Rt puntuale costantemente sopra quota 1,30. In un contesto di questo tipo la classificazione di rischio è alta e i modelli matematici portano a immaginare che rimarrà così per altre tre settimane.
L’elevata incidenza accompagnato dall’aumento della trasmissibilità è dovuto alla circolazione delle nuove varianti. C’è stato un forte aumento nel numero di persone ricoverate in terapia intensiva con un tasso di occupazione che ha superato la soglia critica: i titoli degli articoli letti sui quotidiani locali fanno venire i brividi. Due su tutti: “Allarme spazi: malati di nuovo in palestra” oppure “Pronto soccorso di Udine saturo: sei infermieri esausti si licenziano”.
Da sabato sera le tre Aziende Sanitarie regionali hanno di fatto azzerato la loro operatività ordinaria. Unica e sola priorità saranno i pazienti affetti da Covid. Qualsiasi attività non urgente e differibile sarà rimandata. E’ una catastrofe che in questa terza ondata non sembra smettere di accadere, uno di quei disastri che “rovina tutto lasciando tutto immutato”.
Per un Servizio Sanitario Nazionale costruito sul principio della universalità delle prestazioni rese in condizioni di eguaglianza che dovrebbe garantire parità di accesso alle prestazioni, uniformità e globalità di intervento, questo è l’ennesimo segno di una resa incondizionata. Da oltre quarant’anni il sistema si realizza secondo un modello pubblico di finanziamento ma pesantemente integrato dall’offerta di strutture private, profit e no profit, regolate attraverso convenzioni.
In nome del welfare e di principi aziendalistici, le istituzioni si sono ritirate e così facendo molti diritti faticosamente conquistati con le lotte nei decenni passati sono andati perduti. La tragica conseguenza è che la Sanità è sul punto di cedere all’onda d’urto di quella che non è solamente una pandemia ma una sindemia.
Come ha sottolineato Richard Horton, caporedattore di The Lancet, il contagio da SARS-Cov2 non ci porta soltanto a combattere l’agente infettivo ma ci costringe ad affrontare anche un insieme di problemi economici, sociali e ambientali le cui conseguenze si riflettono sulla popolazione di tutto il pianeta. Molti nodi di ordine superiore stanno venendo al pettine.
A confermare questo pensiero sono stati poi i medici della SINPF, riunitisi in occasione dell’ultimo congresso della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia. I problemi non arrivano unicamente dalla clinica del virus ma anche da tutta una serie di disturbi psicologici e psichiatrici che affliggeranno e stanno affliggendo non solo chi è venuto a contatto con la malattia ma anche coloro i quali, a causa del Covid, hanno vissuto la scomparsa dei propri cari, hanno perso il lavoro o subito gravi danni economici. “Dopo una fase iniziale in cui si è fatto il possibile per resistere e si combatteva soprattutto la paura del virus, ora sono subentrati l’esaurimento, la stanchezza, talvolta la rabbia.
E ciò che preoccupa è soprattutto l’ondata di malessere mentale indotta dalla crisi economica: le condizioni ambientali e socio-economiche hanno infatti un grosso peso sul benessere psichico della popolazione e la pandemia di Covid-19 sta creando le premesse per il dilagare del disagio”, ha detto Matteo Balestrieri, co-presidente della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia e professore ordinario di Psichiatria all’Università di Udine.