MERCOSUR, l’Amazzonia e gli indigeni lanciano un grido di dolore. Il trattato UE-Mercosur di libero scambio fra l’Unione Europea e alcuni paesi del Sud America (Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay) punta a organizzare la più grande area di libero commercio del mondo e riguarderà 800 milioni di persone, macchine contro mucche.

Mentre si consuma questo sciagurato patto, gli Stati europei non sono indenni da responsabilità, anche gente di casa nostra è coinvolta nell’ecocidio di un territorio polmone per il mondo intero.

Quale patto infernale tra UE e Mercosur? Quali conseguenze?

Come vi abbiamo già detto in un precedente articolo, il Mercosur con le immagini del fuoco devastante che mangia la foresta amazzonica, rappresenta la deregolamentazione degli scambi fra i due blocchi, UE e Paesi dell’America latina: importazioni europee di carne bovina, soia e biocarburanti, in cambio di maggiori esportazioni di automobili nei Paesi sudamericani, macchine contro mucche, con l’appoggio in prima fila del Governo brasiliano.
Il sistema odierno di controlli europeo non pone sanzioni sostanziali sulle importazioni di materie prime collegate alla deforestazione, mentre la scarsa trasparenza delle imprese che operano in quella zona rende difficile anche solo individuarle.

Le stime dicono che l’80% della distruzione dell’Amazzonia è collegato al settore della carne bovina. L’Unione europea è il primo partner commerciale in questa filiera e l’Italia il primo mercato di sbocco: l’UE e i paesi membri rischiano di rendersi complici della definitiva distruzione di un bioma fondamentale per la vita sul pianeta, una foresta in grado di assorbire il 9% del carbonio globale. Accanto al disastro ambientale e climatico, evidenti e sofferte le crescenti violazioni dei diritti umani: violenze e minacce nei confronti delle comunità native che hanno convissuto per anni la foresta, persone espulse e famiglie decimate da paramilitari al soldo delle imprese.

Qual è la presenza dell’Italia in Brasile? E i dati di import export?

Il Brasile, la più grande economia latinoamericana, nel 2019 è tornato al primo posto nelle relazioni commerciali italiane nell’area, vicino ai 4 miliardi di euro (+2,2% nel 2019 rispetto al 2018), grazie a una crescita contenuta ma generalizzata della domanda di beni strumentali.

Le esportazioni italiane ammontavano nel 2019 a 3,96 miliardi di Euro, rispetto a 3,87 miliardi di Euro nel 2018. Parimenti, il nostro Paese ha registrato nel 2019 una diminuzione delle importazioni dal Brasile, che nel 2019 sono state pari a Euro 3,15 miliardi rispetto a Euro 3,36 miliardi del 2018 (-6,5%).

L’export italiano in aumento ha riguardato macchine per impieghi speciali (+8%, Euro 387 milioni), autoveicoli (+ 798%, Euro 157,4 milioni), parti e accessori per autoveicoli (+4,3%, Euro 341,8 milioni), medicinali e preparati farmaceutici (+8,6%, Euro 244,8 milioni), motori e generatori elettrici (+4%, Euro 142,7 milioni).

In diminuzione le importazioni dal Brasile di carta e cartone (-16%, Euro 641,4 milioni), minerali metalliferi ferrosi (-30%, Euro 281,8 milioni), cuoio conciato e lavorato (-19%, Euro 194 milioni), carni lavorate e prodotti a base di carne (-11%, Euro170 milioni, e forse proprio per questo calo si vuole rilanciare firmando il Mercosur), mentre sono in aumento le esportazioni brasiliane di prodotti di colture permanenti – quelle non rinnovate ogni anno – (+6%, Euro 450,4 milioni) e non permanenti (+90%, Euro 275,8 milioni) e metalli preziosi (+15,5%, Euro 216 milioni).

Quali aziende italiane presenti in Brasile?

Noi abbiamo “grandi piani” per quel Paese. L’Italia è il secondo partner commerciale europeo del Brasile, dopo la Germania, e l’ottavo a livello mondiale. Secondo il censimento condotto nel 2019 dall’Ambasciata italiana in Brasile, un anno fa erano 972 le imprese italiane presenti in Brasile. Nel 2018-19 l’Italia è stata il primo investitore straniero nel Paese; previsioni per il primo trimestre del 2019 pari a quasi 5 miliardi. Il boom degli ultimi mesi è attribuito al comparto dell’energia ed è principalmente dovuto agli importanti investimenti recentemente effettuati da ENEL. Tali dati non tengono conto degli investimenti di circa 4 miliardi di USD (dollari) recentemente annunciati da FCA Fiat Crysler per i prossimi anni.

La presenza delle Grandi aziende italiane avviene nel rispetto dell’ambiente, delle acque, del lavoro e dei diritti umani?

La maggior parte delle principali aziende italiane di tutti i settori sono presenti in Brasile tra cui Alitalia, Almaviva, Asja, Atlantia, Azimut (finanza), Azimut (yacht), Barilla, Bonfiglioli, Bracco, Buzzi Unicem, Campari, Danieli, Eataly, Enel, FCA, Ferrero, Fincantieri, Fiera Milano, Gavio, Generali, Ghella, Illy, Impregilo, Intesa San Paolo, Leonardo, Luxottica, Maccaferri, Marcegaglia, Natuzzi, Pirelli, Prysmian, Rina, Saipem, Salini, Techint, Tecnimont, Terna, TIM, UBI Banca, Unicredit, solo per citarne alcuni. Il solo gruppo Enel detiene in Brasile 122 partecipazioni. Circa il 90% delle imprese si concentra nelle regioni sud e sud-est (il 54% nel solo Stato di San Paolo)

Tra il 2013 e il 2019 il numero delle imprese italiane in Brasile è aumentato del 20%. Uno dei settori centrali di interesse espansivo per l’Italia è l’agrobusiness, agricoltura che punta ai numeri senza risparmiare su grandi quantità di pesticidi e uso di OGM e puntando su allevamenti di enormi dimensioni dove si prevedono generose dosi di antibiotici, interferenti endocrini, ormoni della crescita. La camera di Commercio italiana rileva che “Meno del 10% del territorio brasiliano è utilizzato come area di coltivazione” ma che “comprende abbondante acqua, terreno adatto per la semina e adeguata luce naturale in un “clima difficile”, implicitamente spingendo gli investitori verso quel Paese.

Il Brasile è il più grande esportatore mondiale di articoli come zucchero, caffè, succo d’arancia e soia, il mercato “è dominato da poche società giganti, il che a volte rimanda a un sistema di oligopolio, con offerta ridotta di prezzi e di condizioni di pagamento e incasso”. Come denunciato dall’ex Presidente Lula, il Paese ha rinunciato alla sovranità “subordinando benessere e sicurezza del popolo agli interessi di altri Paesi”.

Per l’automotive, FCA è la seconda con il 17,5% del mercato. Il Brasile, il più grande mercato per il Gruppo Fiat dopo l’Italia, occupa attualmente un posto di rilievo nella strategia globale dell’azienda ed è uno dei principali gruppi industriali del Paese. Le principali attività del gruppo in Brasile sono focalizzate sulla produzione e vendita di automobili e camion (Fiat Automobiles e Iveco); sviluppo e produzione di motori e trasmissioni (FPT – Powertrain Technologies); produzione di componenti in ferro e alluminio per l’industria automobilistica nazionale e internazionale (Teksid do Brasil); produzione di macchine agricole e per le costruzioni (CNH); produzione e vendita di componenti per autoveicoli (Magneti Marelli); fornitura di attrezzature per l’automazione industriale (Comau); consulenza e formazione del personale (Isvor); consulenza aziendale e amministrazione (Fiat Services).

Il Gruppo Fiat opera anche nel settore finanziario, attraverso Fiat Finanças, Banco Fidis, CNH Capital e Fides Corretagem de Seguros. Pirelli è presente da oltre 90 anni nel mercato brasiliano, contribuendo allo sviluppo del mercato locale e dell’America Latina in generale. Produce pneumatici per automobili, furgoni, moto, scooter, biciclette, camion, autobus, trattori, macchine agricole e veicoli pesanti per l’edilizia civile e industriale. Il 50% delle auto gira con pneumatici Pirelli.

Altro settore della manifattura italiana in crescita in Brasile è quello dei mobili. Tutti i principali marchi italiani sono presenti sul mercato, in particolare a San Paolo, capitale industriale del paese. Ne è esempio Natuzzi, con un impianto produttivo a Bahia, inizialmente pensato per fornire al mercato americano e poi al mercato interno. Altri importanti marchi includono: B&B Italia, FlexForm, Poliform, Living Divani, Giorgietti, Baxter, Porro, Ceccotti Collezioni, De Padova, Porada, Paola Lenti, Gervasoni, Armani Casa, Rabitti, Giobagnara, Arcade, Baleri, Edra, Ghidini 1961, Lema, Magis, Memphis Milano, Varaschin e Zanottalvi.

Nel settore dell’energia Enel In Brasile è presente in 18 stati Il 37% dell’energia brasiliana è generato da petrolio e derivati, il 12% dal gas, il 43% da fonti rinnovabili – essenzialmente idroelettrico di grandi dimensioni – ma il 13% del Pil nazionale è assicurato dal settore petrolchimico. Il Brasile è il 10° più grande produttore di prodotti petroliferi al mondo, il più grande in America Latina ed è il settimo più grande consumatore di prodotti petroliferi al mondo.

Il commercio del petrolio lungo le coste brasiliane è responsabile di tragici e frequenti sversamenti; uno degli ultimi nell’ott. del 2019 nella zona nord orientale ha provocato danni spaventosi a 2.000 km di costa, almeno 187 spiagge, nonché le morti di tartarughe marine e uccelli nelle zone colpite; il presidente Bolsonaro, in modo inspiegabile, ha ostacolato l’intervento di attivisti non governativi e ha ridotto i fondi a IBAMA, l’Agenzia brasiliana per l’Ambente.

Il sistema bancario italiano è caratterizzato dalla presenza di due filiali di rappresentanza di Unicredit e UBI Banca e dagli uffici di Intesa San Paolo Brasil S.A. che è autorizzata ad operare sotto il controllo della Banca Centrale Brasiliana come “Banco Multiplo”, con licenza di commercial and investment banking, operatività in divisa estera e attività di trade export finance. Uno degli interessi offensivi italiani in espansione guarda al mercato brasiliano per farmaceutica, dispositivi medici e apparecchi elettromedicali già oggi pari a 30 miliardi di dollari. Entro il 2022 il Brasile entrerà tra i primi cinque mercati al mondo, con una spesa prevista in aumento fino a 42 miliardi di dollari ma, nonostante questi smisurati investimenti, il servizio sanitario nazionale presenta ancora oggi carenze, soprattutto nelle regioni più povere del Nord e Nord Est.

Il nostro Paese si sta attivando per una valutazione autonoma del Mercosur? Esistono dei protocolli di tutela per ambiente, clima, diritti umani?

E’ mportante – se questa notizia verrà confermata – che il nostro Paese abbia cominciato a svolgere valutazioni autonome rispetto ai trattati commerciali condotti su suo mandato dalla Commissione europea, come chiesto da diversi anni dalle associazioni italiane e ribadito più di recente rispetto al trattato UE-Mercosur, anche se purtroppo registriamo l’esclusione della società civile da qualsiasi valutazione.

Per di più l’Italia, come abbiamo raccontato in questo report, ha una presenza antica nell’area amazzonica, in cui operano direttamente e indirettamente oltre 500 aziende italiane e loro filiali/consociate tra le quali le grandi ammiraglie partecipate dei settori energetici, meccanici e delle infrastrutture, ma non risultano protocolli di tutela. L’Amazzonia non deve essere la loro terra di libero sfruttamento, nonostante la compiacenza e l’incoraggiamento ricevuto in questi anni da Governi e autorità locali delle due parti, proprio perché da quell’area dipende il 20% dell’ossigeno che respiriamo e lo stesso territorio ospita il 10% della biodiversità globale.

C’è bisogno di cambiare rotta subito lavorando insieme: istituzioni, associazioni, sindacati, imprese. Nessuno può pensare di farcela da solo: specialmente in questa epoca di pandemia, abbiamo tra le mani l’ennesima (e forse ultima) occasione per rendercene conto e agire di conseguenza, lo dobbiamo per il rispetto ai cittadini brasiliani e a noi stessi perché la presenza delle nostre imprese non complichi una situazione già drammatica per la foresta, l’inquinamento ambientale, la salute, i diritti.

Seguiteci sui social, la Campagna Stop TTIP Italia e noi Comitato Stop TTIP aderiamo alla mobilitazione Stop Mercosur il prossimo 20 maggio, con collegamenti online, se vi interessa il link, chiedetelo a stopttipud@gmail.com