Secondo quanto scritto dal Financial Times pochi giorni fa, il responsabile finanziario del produttore di armi statunitense Lockheed Martin guarda al futuro con ottimismo perché negli ultimi tempi la sua azienda ha ricevuto molte richieste di armi e missili. Dall’inizio delle ostilità in Ucraina questo business ha registrato aumenti di valore di borsa a doppia cifra mentre le produzioni di armamenti impiegati nel conflitto russo ucraino sono mediamente più che raddoppiate. Bei tempi per le lobby della guerra.
Chissà se i lavoratori della Flex di Trieste possono dire la stessa cosa. L’azienda di proprietà del gruppo statunitense Flextronics, produttrice di componenti elettronici con oltre 580 addetti, ha annunciato di voler licenziare 280 lavoratori, di cui duecento diretti e ottanta interinali. Sembra molto lontano quel 2016 quando la Regione aveva accompagnato l’insediamento di Flextronics nel territorio giuliano, dando la massima collaborazione nel facilitare i rapporti con il Ministero dello Sviluppo Economico nell’ implementare progetti di ricerca e sviluppo che coinvolgevano soggetti pubblici e privati di primissimo piano. Si ponevano quindi le basi per importanti contatti con il tessuto industriale locale e con l’Area di Ricerca, in virtù proprio dell’ampia gamma delle soluzioni tecnologiche su cui la multinazionale si faceva portatrice, dalle infrastrutture di comunicazione, ai sensori, all’automotive e ai semiconduttori. Importanti ricadute occupazionali sembravano scontate.
Di fronte a questo bel libro dei sogni, la realtà si sta dimostrando ben diversa.
Già nel 2017 le difficili relazioni sindacali e la decisione dell’azienda di anticipare la fuoriuscita di 65 interinali, senza darne preavviso, furono un primo brutto segnale. Poi nel 2018 a fronte di quattrocento cinque lavoratori a tempo indeterminato e duecento ventisette su somministrazione, l’azienda si era impegnata a convertire a tempo indeterminato i contratti di somministrazione di cento lavoratori ma in staff leasing gli altri centoventisette. Infine l’anno scorso nuvole minacciose già presagivano quello che oggi si sta palesando: esuberi nell’ordine del quindici percento del personale quantificati in circa ottantasei lavoratori con contratto di somministrazione, molti dei quali con una decina d’anni di anzianità di servizio e con posizioni di rilievo nel processo produttivo. E’ la solita storiella della deflazione salariale che ricerca competitività e sviluppo, punisce salari e lavoratori per ottenere facili profitti.
Va segnalato che la multinazionale non ha mai realmente conosciuto crisi né sul lato dell’offerta né su quello della domanda; quello di Trieste poi è uno stabilimento all’avanguardia, soprattutto nel campo delle telecomunicazioni in fibra ottica, una tecnologia fondamentale al fine della realizzazione della famosa autostrada digitale necessaria allo sviluppo del nostro sistema paese. Diventa così paradossale la perdita di occupazione in un settore strategico in nome di quella delocalizzazione che fa leva su dumping fiscale e salariale in Paesi dove sono minori le tutele ed estremamente vantaggioso il costo del lavoro.
Oggi lunedì 16 maggio alle ore 10.00 in piazza Unità d’Italia a Trieste, tutte le organizzazioni sindacali saranno lì a protestare e a partecipare al presidio che deve mantenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni su una vertenza che si prefigge di puntare al mantenimento degli attuali livelli occupazionali e della dignità di duecento ottanta lavoratori e delle loro famiglie.